Tra Le Tante albe incompiute della misera patria
nostra quella delle Autonomie e della riforma federalistica è forse la più
dolorosa da rammemorare – ma anche la più istruttiva. Nello sfascio della prima
Repubblica e dei suoi partiti, venticinque anni orsono, fu un processo quasi
fisiologico, per quanto favorito dalla riforma elettorale, quello che fece
emergere una “rete” di personalità , fortemente rappresentative a livello
locale, che intendevano misurarsi concretamente nell’amministrazione dei propri
territori. Non hanno mai formato partiti e neppure movimenti, ma esprimevano
tutte, più o meno consapevolmente, l’unica energia, allora forse ancora viva,
che ha caratterizzato la storia politica nazionale: quella delle città. E più o
meno tutte comprendevano come il loro “servizio” avrebbe potuto produrre
qualche risultato soltanto se si fosse combinato a un processo costituente
vòlto a una riforma federalista dello Stato. Anche a coloro, come Bassolino,
che appartenevano in toto alla “classe politica”, contavano allora in quanto
espressione di u progetto di riorganizzazione complessiva della orma-Stato
fondata sul valore delle Autonomie, sulla loro capacità di auto-governo. Il
combinato disposto tra Berlusconi, immarcescibile centralismo dei sopravvissuti
apparati di partito, potenza della vecchia burocrazia ministeriale,
secessionismo leghista, fece naufragare quella stagione ai suoi primi vagiti.
Il nostro non è un Paese per gli Spinelli e i Trentin. Così come l’Europa non è
un Continente per loro. Crisi o no, ogni legge finanziaria, chiunque fosse al
governo, inizio a “qualificarsi” per i tagli ai Comuni, mentre, a un tempo, se
ne riducevano i poteri di auto-finanziamento. Compimento simbolico di tale
nefasta storia fu la sottrazione agli Enti locali della piena autonomia in
materia di tassazione sugli immobili. I sindaci non seppero reagire
all’andazzo.(..). Il Passaggio ha nomi e cognomi, validissimi
tutti,ma è evidente che il baricentro ritorna di nuovo nella direzione
nazionale del partito, o sedicente tale. Da Castellani a Chiamparino, da
Primicerio a Domenici, da Sansa a Pericu e poi alla Vincenzi. Per non dire di
quelli che comprendono per tempo l’aria che tira e trasformano l’attività
amministrativa in trampolino di lancio alla conquista di leadership
“universali”…Tuttavia, nessuno è innocente, qui come altrove. E’ mancata la
consapevolezza dei pericoli impliciti fin dall’inizio di quella “stagione dei
sindaci”.(..). Non solo Promesse mancate, quella stagione, ma anche alcune,
ahimè, pienamente realizzate: personalizzazione estrema del confronto politico,
programmi amministrativi fagocitati in frasi demagogiche, candidati sindaci
che, crollata l’idea di una riforma di sistema, ambiscono soltanto alla scalata
di cursus e honorum. E che per sperarlo debbono a loro volta iscriversi alla
clientela di questo o quel Capo. Pisapia non appartiene per età e cultura alla
genia di costoro. Il sindaco di Milano sembra uscito pari pari dagli anni dei
Castellani e dei Primicerio. Fuori tempo massimo.
Massimo Cacciari www.lespresso.it – 9 Aprile 2015
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