Nella nostra società anche la vecchiaia, oltre alla morte, è
un momento della vita da annullare per far posto all’immagine di un’esistenza
sempre attiva ed efficiente, dove non ci sono più le tappe fondamentali:
l’infanzia si confonde con l’adolescenza, l’adolescenza sembra proseguire
all’infinito, così non si diventa mai adulti e a 50 o 60 anni ci si può
comportare come a 20. E allora la vecchiaia dove sta?(..) E allora noi “giovani
anziani” che ci avviciniamo alla vecchiaia siamo spaventati, atterriti perché
c’è poco presente d il futuro
rappresenta un luogo dove socialmente ed economicamente non ci sarà possibile
vivere dignitosamente, perché la vecchiaia nella società non ha più un suo
ruolo, e verremo espulsi senza alcuna pietà né conforto. Ecco perché l’angoscia
e insieme il desiderio di poter ancora decidere della nostra fine, per evitarci
umiliazioni che certamente non mancheranno.
Silvana Misto – s.misto@alice.it
Se è vero che si invecchia per ragioni biologiche, è
altrettanto vero che in Occidente si invecchia peggio che altrove per ragioni
culturali. La nostra cultura ha connesso la vecchiaia all’improduttività, per
cui chi non produce, stando alla gerarchia dei valori tipici delle società
avanzate, è ridotto all’emarginazione, quando non all’insignificanza sociale. I
costi sociali della vecchiaia, dalle pensioni all’assistenza, hanno generato
una nuova lotta di classe, non più tra poveri e ricchi, ma tra vecchi che per
non sentirsi emarginati non vogliono lasciare e giovani che non sanno da dove
incominciare. Se la vecchiaia per la nostra cultura è un tempo inutile, non ave
torto Indro Montanelli quando auspicava per sé l’eutanasia per restituire
all’individuo la sua dignità nei confronti delle leggi indifferenti della
natura. Ma se conveniamo con la tesi di James Hillman secondo il quale il fine
dell’invecchiare non è quello di morire, ma di svelare il proprio carattere,
che ha bisogno di un tempo lungo per apparire a noi stessi prima che agli altri
in tutta la sua peculiarità, allora la vecchiaia diventa davvero interessante e rende a noi stessi
giustizia di tutto il tempo della nostra vita durante il quale, per affermarci,
ci siamo trascurati e, quando per caso ci incontravamo, fuggivamo da noi stessi
come dal peggior nemico. (..). Si dirà, va bene la scoperta di sé che abbiamo
trascurato per tutta la vita, ma l’amore, considera la vera antitesi alla
morte? Qui ci viene in soccorso Manlio Sgalambro, che nel suo Trattato dell’età, scrive: “L’eros
scaturisce da ciò che sei, amico, non dalle fattezze del tuo sedere o delle tue
spalle. Scaturisce dalla tua età che, non avendo più scopi, può capire
finalmente che cos’è l’amore fine a se stesso. Una sessualità totale succede a
una sessualità genitale. Qui l’amore raggiunge il proprio apice, che non è
nella riproduzione a cui è legato l’animale di ogni specie, perché la specie
non è niente, alcuni uomini sono tutto”. Se smontiamo le nostre idee troppo
spesso vittime dell’Idea che la società ha diffuso sulla vecchiaia,
persuadendoci e affliggendo l’ultima stagione della nostra vita, forse la
vecchiaia può essere vissuta con il gusto della curiosità di scoprire chi
siamo, dopo aver rimandato per tutta la vita questa scoperta, e di conoscere
quella nuova forma d’amore che, come ci ricorda Ovidio: “La natura negò ai
giovani”, troppo presi dal gusto della conquista, che spesso risponde più alla
propria gratificazione narcisistica che all’amore.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 28 Marzo 2015 -
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