Caro Michele Serra, “ci si dimette per ragioni politiche o
per questioni etiche, e non per gli avvisi di garanzia”. Mi aiuta a capire il
senso di questa frase? Sono parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi a
proposito della richiesta di dimissioni di personaggi indagati legati al suo governo, dopo quelle di Maurizio Lupi.
E proprio nel giorno in cui dal palco di Libera, in piazza a Bologna, venivano
letti i nomi delle vittime della mafia; tra questi, quello di Libero Grassi,
ammazzato per aver detto ( e non solo detto): “Io non vado a cena con i
mafiosi”. Pochi minuti prima, era toccato al ministro Giuliano Poletti leggere
altri nomi di donne e uomini uccisi per essere stati distanti dal malaffare. Il
pensiero è andato inevitabilmente a ricordi e foto recenti, e il contrasto è
stato stridente. Prima ancora della magistratura e indipendentemente dalla sua
attività, bisognerebbe evitare questo possibile contrasto. Che la politica
torni a gestire il bene collettivo, e chi fa politica meriti non sospetto e
diffidenza, ma rispetto e ammirazione. I politici, così come tutte le persone
perbene, non vanno a cena con i mafiosi: non è reato, ma non ci vanno. E basta.
Renato Brandimarti
Caro Brandimarti, lo dice lei stesso: bisognerebbe evitare
ogni sospetto, ogni cattivo pensiero, “prima ancora della magistratura e
indipendentemente dalla sua attività”. Sono d’accordo e l’ho scritto molte volte: il
ruolo abnorme che l’azione della magistratura ha avuto sulla vita politica
italiana, da Tangentopoli in poi, dipende da un vistoso difetto dell’etica
politica. Spero che vadano proprio in questo senso le parole di Renzi: ci si
deve dimettere quando ci si sente inadeguati al proprio ruolo pubblico. Del
resto l’articolo 54 della Costituzione (..) dice che “i cittadini cui sono
affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e
onore”. Senza bisogno di avvisi di garanzia: il ministro Lupi del resto, non ne
aveva. E si è dimesso ugualmente. Aggiungo che, di per sé, un avviso di
garanzia può significare tutto o niente: un gravissimo addebito o una insulsa
inadempienza burocratica. Dunque, in linea teorica, le parole di Renzi sono
condivisibili. Salvo un’obiezione, che immagino sia anche la sua e quella di
molti altri lettori: il concetto enunciato da Renzi avrebbe una soddisfacente
applicazione solo se la politica ritrovasse una sua forte e autonoma etica,
magari dotandosi di meccanismi interni
che favoriscano un comportamento più virtuoso, una vita interna meno
opaca, bilanci e finanziamenti a prova di sospetto. Così purtroppo non è: sono
tanti, troppi gli uomini della politica che considerano il proprio ruolo un
privilegio e una garanzia di impunità. E tocca, allora, alle inchieste della
magistratura provare a rimettere ordine laddove non ce n’è. Con il rischio,
evidente, che tanto il politico mafioso quanto quello perbene, incappato in
buona fede in una minima grana legale, siano ugualmente costretti a levare il
disturbi.
Michele Serra – Per Posta – Il Venerdì di Repubblica – 3
Aprile 2015
Nessun commento:
Posta un commento