Quando guardo a come
mio figlio di 13 anni e i suoi amici seguono il calcio, mi rendo conto di
quanto è cambiato il mondo in pochi decenni. Per essere più precisi, capisco
quanto il potere del denaro sia ormai diventato una dittatura che entra in ogni
aspetto della vita, perfino in quel rifugio infantile che è la passione per il pallone. Quando
avevo l’età di mio figlio Zeno, il calcio era per noi ancora una favola e un
rito. Era giocare in un campetto di periferia, un pomeriggio di domenica allo
stadio o più spesso incollati alla radio, era recitare come una poesia in
endecasillabi le formazioni dall’1 all’11, una cabala magica dove a ogni numero
corrispondevano un ruolo e una letteratura. Le piccole squadre di provincia a
volte battevano le grandissime in Italia e in Europa; il Cagliari di Riva o la
Fiorentina di Amarildo o la Lazio di Chinaglia potevano dominare fino allo
scudetto. Da ragazzo mi entusiasmai per la parabola del Nottingham Forest,
l’unica squadra della storia ad aver vinto più coppe dei campioni che
campionati nazionali. Affidato a un allenatore fallito, ubriacone e tagagista,
Brian Clough, il Nottingham in tre anni venne promosso dalla seconda alla prima
divisione, vinse il titolo d’Inghilterra, poi la Coppa dei campioni due volte e
la Supercoppa. La storia di Clough divenne un romanzo e un film, entrambi
belli, Il maledetto United (The Dammed United). La possibilità di
favole come queste del Nottingham o del Cagliari oggi è pari a zero. Mio figlio
e i suoi amici, oltre a conoscere le formazioni, che ormai sono diventate
bollettini di borsa con i numeri impazziti, sanno a memoria anche la classifica
dei fatturati delle squadre italiane ed europee. Hanno ragione perché dai primi
cinque o dieci fatturati si capisce chi vincerà campionati nazionali e coppe
europee, le eccezioni sono ormai quasi impossibili. Le televisioni spalmano le
partite da lunedì a domenica e organizzano Mondiali deliranti in dicembre nel
Qatar, in omaggio ai fondi d’investimento immobiliari. Per la verità la legge
aurea vale anche per gli altri sport, come il basket, dove Siena ha dominato
dieci anni prima di fallire insieme al Monte Paschi di Siena. E vale per la
politica, dove pure si vince con il fatturato, e per tutto il resto. I ragazzi
imparano presto che si nasce con un debito da restituire per tutta la vita alle
banche, facendone tanti altri per studiare, trovare lavoro, comprare casa, fare
famiglia e crescere figli a loro volta indebitati. La vita stessa è un sogno
che si soldi possono comprare e non possiamo più dimenticarlo neppure giocando
agli eterni bambini con una sciarpa al collo in una curva di stadio.
Curzio Maltese – Contromano – Venerdì di Repubblica – 27
marzo 2015 -
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