Urlarono I Fratelli Kouachi al pensionato cui avevano
rubato l’auto sulla via della fuga dopo la carneficina a Charlie Hebdo: “Dica
che è stata al Qeeda nello Yemen”. Si Autocertificò il loro complice Amedy
Coulibaly durante la strage all’Hypercacher: “Sono un militante dell’Is”.
Rimbalzano, adesso, indiscrezioni su un presunto scioglimento
dell’organizzazione che fu di Osama bin Laden e ora di Ayman al Zawahiri, per
favorire un ingresso delle sue cellule tra le truppe del califfo Abu Bakr al
Baghdadi. Saremmo di fronte a un percorso esemplare: rivalità, collaborazione,
annessione. Essendoci solo antipatie personali dovute alla leader ship e non
dottrinali o ideologiche (salvo l’accusa dei seguaci dello sceicco agli altri
di ammazzare troppi musulmani) la svolta non deve sorprendere. Sono entrambe
formazioni fondamentaliste sunnite, con l’obiettivo finale di restaurare il
califfato: identica strategia, differente tattica, al massimo. Se il ginepraio
delle sigle jihadiste e i giochi delle alleanze sono materia ostica da
decifrare, non lo è il senso generale della mutazione dell’universo
terroristico dove sembra prevalere il motto: “l’unione fa la forza” e vengono
accantonate antiche rivalità in nome di un’offensiva che non ha precedenti e si
estende dal Maghreb all’Africa Nera, dal Corno della stessa Africa allo Yemen
per risalire verso il suo epicentro che è pur sempre quel buco nero tra Siria e
Iraq dove sventolano le bandiere nere del sedicente Stato Islamico, magnete di
attrazione e di fascinazione anche per combattenti di Europa occidentale,
Balcani e Caucaso. Colpire divisi e marciare uniti, tenere la comunità degli
“infedeli” sotto costante minaccia da Tunisi a Garissa (Kenya), moltiplicare
l’orrore tra fosse comuni e decapitazioni di massa in una gara a chi riesce a
far suonare più forte la grancassa mediatica che amplifica le gesta
raccapriccianti dei presunti guerrieri di Allah. (..) Dobbiamo Prende Atto
insomma di una coalizione opposta, che si adatta a chi la vuole combattere, e
trova connessioni intercontinentali per lanciare lo stesso messaggio. Avendo
come punto di riferimento quell’embrione di entità statuale dove costruire
santuari sicuri e dove ha posato la prima pietra per edificare su una base
solida il miraggio del califfato globale. (..). E non è tutto. Lo Stato
islamico ha trovato proseliti nello Yemen sconvolto dalla guerra civile dove ha
compiuto attentati contro moschee sciite. E, sempre in funzione antisciita, ha
compiuto attentati contro moschee sciite. E, sempre in funzione antisciita, ha
formato una cellula in Pakistan (“Khorasan”) cui hanno aderito alcune fazioni
di talebani, evidentemente non più così convinte della leadership del mullah
Omar, scomparso da tempo dalla scena pubblica e da alcune fonti dato per morto.
Tutto da decifrare anche il rapporto con Jabbat al Nustra, filiazione d al
Qaeda in Siria, con cui l’antica ostilità sta sempre più evolvendo in aperta
alleanza su diversi fronti della guerra a Bashar Assad. Un’Unica Centrale del
terrore, pur con diverse diramazioni e fatti salvi i protagonisti dei piccoli
capi locali, è l’incubo delle cancellerie. In un mondo che si è fatto troppo
fragile per reggere, anche emotivamente, un’offensiva su vasta scala, con
troppi fuochi accesi e pochi pompieri a domarli.
Gigi Riva –Senza frontiere – www.lespresso.it
– g.riva@espressoedit.it 16 aprile
2015 -
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