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martedì 21 aprile 2015

Lo Sapevate Che: Se anche il terrorismo fa una coalizione...



Urlarono I Fratelli Kouachi al pensionato cui avevano rubato l’auto sulla via della fuga dopo la carneficina a Charlie Hebdo: “Dica che è stata al Qeeda nello Yemen”. Si Autocertificò il loro complice Amedy Coulibaly durante la strage all’Hypercacher: “Sono un militante dell’Is”. Rimbalzano, adesso, indiscrezioni su un presunto scioglimento dell’organizzazione che fu di Osama bin Laden e ora di Ayman al Zawahiri, per favorire un ingresso delle sue cellule tra le truppe del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Saremmo di fronte a un percorso esemplare: rivalità, collaborazione, annessione. Essendoci solo antipatie personali dovute alla leader ship e non dottrinali o ideologiche (salvo l’accusa dei seguaci dello sceicco agli altri di ammazzare troppi musulmani) la svolta non deve sorprendere. Sono entrambe formazioni fondamentaliste sunnite, con l’obiettivo finale di restaurare il califfato: identica strategia, differente tattica, al massimo. Se il ginepraio delle sigle jihadiste e i giochi delle alleanze sono materia ostica da decifrare, non lo è il senso generale della mutazione dell’universo terroristico dove sembra prevalere il motto: “l’unione fa la forza” e vengono accantonate antiche rivalità in nome di un’offensiva che non ha precedenti e si estende dal Maghreb all’Africa Nera, dal Corno della stessa Africa allo Yemen per risalire verso il suo epicentro che è pur sempre quel buco nero tra Siria e Iraq dove sventolano le bandiere nere del sedicente Stato Islamico, magnete di attrazione e di fascinazione anche per combattenti di Europa occidentale, Balcani e Caucaso. Colpire divisi e marciare uniti, tenere la comunità degli “infedeli” sotto costante minaccia da Tunisi a Garissa (Kenya), moltiplicare l’orrore tra fosse comuni e decapitazioni di massa in una gara a chi riesce a far suonare più forte la grancassa mediatica che amplifica le gesta raccapriccianti dei presunti guerrieri di Allah. (..) Dobbiamo Prende Atto insomma di una coalizione opposta, che si adatta a chi la vuole combattere, e trova connessioni intercontinentali per lanciare lo stesso messaggio. Avendo come punto di riferimento quell’embrione di entità statuale dove costruire santuari sicuri e dove ha posato la prima pietra per edificare su una base solida il miraggio del califfato globale. (..). E non è tutto. Lo Stato islamico ha trovato proseliti nello Yemen sconvolto dalla guerra civile dove ha compiuto attentati contro moschee sciite. E, sempre in funzione antisciita, ha compiuto attentati contro moschee sciite. E, sempre in funzione antisciita, ha formato una cellula in Pakistan (“Khorasan”) cui hanno aderito alcune fazioni di talebani, evidentemente non più così convinte della leadership del mullah Omar, scomparso da tempo dalla scena pubblica e da alcune fonti dato per morto. Tutto da decifrare anche il rapporto con Jabbat al Nustra, filiazione d al Qaeda in Siria, con cui l’antica ostilità sta sempre più evolvendo in aperta alleanza su diversi fronti della guerra a Bashar Assad. Un’Unica Centrale del terrore, pur con diverse diramazioni e fatti salvi i protagonisti dei piccoli capi locali, è l’incubo delle cancellerie. In un mondo che si è fatto troppo fragile per reggere, anche emotivamente, un’offensiva su vasta scala, con troppi fuochi accesi e pochi pompieri a domarli.
Gigi Riva –Senza frontiere – www.lespresso.itg.riva@espressoedit.it 16 aprile 2015 - 

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