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sabato 18 aprile 2015

Lo Sapevate Che: Quando fingere ci aiuta a essere sinceri...



Se “simulare” significa “far apparire come reale ciò che non lo è”, “fingere di sentire ciò che in realtà non si sente”, perché oggi, nell’uso corrente della lingua, la simulazione è fondata, legittima, anzi auspicabile per la buona riuscita di un compito, di un esame, di una situazione? Le faccio un esempio: noi docenti nella scuola superiore abbiamo l’obbligo di effettuare alcune simulazioni delle prove d’esame.(..). Mi chiedo quale pensiero si cela dietro questa progressiva rivalutazione di un atteggiamento simulatorio. Forse l’idea di un perfezionismo che escluda a priori ogni imprevisto, riducendo al minimo il margine di rischio implicito in ogni esperienza, mentre la possibilità del fallimento è una componente ineliminabile dell’apprendimento e del progresso? Cosa ancora più allarmante, come sarà possibile per le nuove generazioni affrontare le innumerevoli prove della vita e il rischio, il non prevedibile, l’inaspettato, che sempre l’esperienza porta con sé? (..).
Ci sono due significati del termine “simulazione”. Uno da lei ottimamente esemplificato,in cui si simula una catastrofe per essere preparati qualora dovesse accadere, oppure la simulazione di un esame per conoscere le modalità con cui si svolge, o la simulazione di un colloquio di lavoro per avere un’idea delle domande onde meglio rispondere all’attesa di chi lo conduce. Questo tipo di simulazione: è una strategia a cui l’umanità è ricorsa fin dai tempi più remoti per difendersi dall’angoscia dell’imprevedibile che paralizza. Giusto per fare un esempio, uno dei primi problemi che l’uomo ha dovuto affrontare è stato trovare cibo e non diventare cibo per gli altri. E solo con la simulazione di incontri con animali feroci l’umanità ha risolto, se non il primo, senz’altro il secondo problema. Ma c’è un’altra simulazione, forse più interessante, che riguarda le persone definite “isteriche”, che simulano sofferenze che in realtà non hanno. Prima di Freud i simulatori erano considerati dei bugiardi e non di rado screditati e puniti. Freud, invece, avanzò l’ipotesi che i simulatori non fossero dei bugiardi, ma semplicemente delle persone che, non riuscendo a ottenere una migliore condizione della loro esistenza con una semplice richiesta verbale, erano costrette a ricorrere al linguaggio del corpo che, esibendo sofferenze di ogni tipo, consentiva loro di procurarsi quella cura che con il linguaggio verbale non avrebbero mai ottenuto. (..). Intesa come linguaggio, la simulazione, in questi casi, non è l’inganno di un malato di mente, ma l’estremo tentativo di un individuo incapace altrimenti di farsi ascoltare. In un contesto culturale come il nostro, in cui non si nega nulla al malato, è inevitabile il ricorso alla simulazione per orientare diversamente il comportamento di chi non ci ascolta. Se i medici fossero più attenti ai fenomeni della simulazione, potrebbero orientare meglio le loro pratiche di cura, e capire che, talvolta, attraverso il linguaggio del corpo, quel che il paziente chiede è: “Faccia in modo che dal mio certificato risulti che chi mi sta vicino deve smettere di tormentarmi”. A questo punto possiamo davvero condannare la simulazione, o non piuttosto la nostra incapacità o insofferenza ad ascoltare quanto ci comunica il linguaggio verbale, per cui non resta che ricorrere al linguaggio del corpo, e quindi alla simulazione della malattia, per instillare sentimenti d’amore o sensi di colpa capaci di promuovere la risposta desiderata?
umbertogalimberti@replubblica.it – Donna di Repubblica – 11 aprile 2015

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