Nelle Scorse settimane abbiamo assistito a
indubbi atti di follia. Folle certamente il pilota tedesco che ha trascinato a
morte tutti i passeggeri affidati alle sue cure, senza dubbio disturbato
l’imprenditore milanese che ha commesso una strage a palazzo di giustizia, e
preoccupante un pilota (a cui era stato affidato il presidente della
Repubblica) che si mette a sparare in casa – e trascuriamo l’incidente
automobilistico dovuto forse a un tasso alcolico eccedente, perché potrebbe
accadere a tutti anche se la tentazione di guidare dopo aver bevuto dovrebbe
essere respinta da chi di solito guida un airbus. Erano matti i poliziotti
accusati del “massacro messicano” alla Diaz? Sino a un minuto prima erano
agenti normali. Che frenesia gli ha preso, dopo, per scatenarli in quel modo,
come se (umanità a parte) ignorassero che alla fine qualcuno si sarebbe accorto
di quello che avevano fatto? Mi è così tornato in mente quanto diceva Owen:
“Tutti al mondo sono matti, tranne te e me. E anche tu, a pensarci bene…” In
fondo noi viviamo nella convinzione che la saggezza sia la normalità e i pazzi
siano delle eccezioni alle quali un tempo provvedeva il manicomio. Ma è vero?
Non bisognerebbe pensare che la condizione normale sia la pazzia e la cosiddetta
normalità sia uno stato transitorio? Fuor di paradosso, non sarà più prudente
convincerci che in ogni essere umano c’è una dose di follia, che per molti
resta latente per tutta la vita, ma per molti altri esplode a tratti- ed
esplode in forma non letale e talora produttiva in coloro che consideriamo
geni, precursori, utopisti, ma in altri si manifesta in azioni che ci fanno
gridare alla follia criminale? Se è così, in tutte le persone che vivono a
questo mondo (e siamo ben sette miliardi), c’è un germe di follia che può
manifestarsi di colpo, o soltanto in certi momenti della loro attività: (..). Se E’ Così,
dovremmo vivere in uno stato di sfiducia continuo, temendo a ogni che nostra
moglie o nostro marito, nostro figlio o nostra figlia, il miglior amico,
improvvisamente impugnino un’accetta e ci fendano il cranio, o ci mettano l’arsenico
nella minestra. Ma allora la nostra vita diventerebbe impossibile e, non
potendo fidarci più di nessuno (nemmeno dell’Altoparlante della stazione che
dice che il treno per Roma sta partendo sul binario cinque, perché l’addetto
agli annunci potrebbe essere impazzito), vivremmo come paranoici in servizio
permanente effettivo. Quindi Occorre, per sopravvivere prestare fiducia almeno
a qualcuno. Salvo che occorrerà convincerci che non esiste fiducia assoluta
(come accade talora nelle fasi d’innamoramento) ma solo fiducia probabilistica.
Se il comportamento del mio migliore amico, nel corso degli anni, è stato
affidabile, sarà conveniente scommettere che sia persona di cui fidarsi.
Sarebbe un poco come la scommessa pasca
liana: credere che esista una vita eterna è più vantaggioso che non crederci.
Ma si tratta appunto di una scommessa. Vivere su una scommessa è certamente
rischioso, ma vivere senza questa scommessa (se non la scommessa sulla vita
eterna, almeno quella sull’amico) ù essenziale alla nostra salute mentale. Però
mi pare abbia scritto una volta Saul Bellow che in un’epoca di pazzia credersi
immuni dalla pazzia è una forma di pazzia. Quindi non prendere per oro colato le
cose che vi ho appena detto.
Umberto Eco – La bustina di Minerva – www.lespresso.it – 23 aprile 2015 –
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