Le società si comprendono meglio non tanto analizzando quello
che accumulano, costruiscono e consumano, quanto valutando ciò che sprecano,
distruggono e scartano: a partire dalla spazzatura. L’adagio sviluppato qualche
decennio fa nelle scienze sociali è valido oggi per comprendere a fondo la
cultura elettronica? A giudicare dalle ore trascorse a visionare, cancellare e
segnalare spam, la risposta è non solo affermativa, ma implica la necessità di
sottolineare una radicale inversione dei fatti: a ben vedere, consacriamo più
tempo e spazio all’apparente immondizia elettronica che non a dati generalmente
considerati più nobili, indispensabili e strutturali. Accanto al disagio da ciò
provocato, di cui l’inefficacia lavorativa è l’apice, il fenomeno comporta
inesplorate e inattese conseguenze dal carattere virtuoso. Non si tratta
semplicemente del sollievo provato dal ripulire la sporcizia e dal ristabilire
l’ordine, ma anche dalla sensazione di riposo e di pausa provata nei confronti
degli imperativi più stringenti delle nostre vite professionali, affettive e
sociali. Lo spam ci riconsegna al caso e restituisce dignità alla casualità
dell’esistenza gettandoci nelle braccia degli imprevisti e tutto ciò che
normalmente non rientra nelle nostre sempre più stringenti agende. Così, quando
ogni giorno filtriamo le nostre caselle di posta elettronica dai loro tanti
magabyte d’inutilità, siamo appellati inconsciamente all’alterità che ci
attornia e che, con un solo clic, potremmo frequentare, abitare e indossare.
Forse è pertanto gi
unto il momento di seguire, dalla strada alla rete, il
consiglio indicato in uno storico murales di Palermo: “In trash we trust”.
vincenzo.susca@lescahiers.eu – News Tecnologia – L’Espresso-25
settembre 2014
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