Per una volta il “Financial Times” – solitamente i giornalisti italiani fanno precedere il nome
della testata dall’aggettivazione “l’autorevole” – ha dato ragione a Renato
Brunetta che ha definito “storica” la svolta impressa da Renzi alla questione
dell’articolo 18 e la sua conseguente vittoria a larga maggioranza nella
direzione del suo partito, il Pd. A enfatizzare si azzecca, e prima di parlare
anche solo di “svolta”, pur senza aggettivi, bisognerebbe contare almeno fino a
dieci. Prima di capire infatti che cosa è davvero successo in queste ore
frenetiche e velenose – da tempo non si sentivano risuonare nell’arena di un
partito perfidie e sospetti così gravi come quelli rilanciati urbi ed orbi
dalla gelida diretta streaming – sarà opportuno leggere il testo definitivo
della nuova legge sul lavoro: appena chiusi i lavori, l’articolato entrato in
Direzione era già stato emendato per tener conto delle esigenze della
minoranza, e alla fine il contenuto non differiva poi granché dalla riforma
Monti-Fornero di due anni fa, che invece poco prima si voleva smontare. E
vabbè. Poi c’è l’incognita conti sulla quale D’Alema & C. già danno
battaglia sostenendo che i nuovi ammortizzatori sociali previsti dal Job’s act
costeranno molto ma molto di più del miliardo e mezzo previsto da Renzi. Non Tira Una Buona Aria. Ed è dunque facile immaginare che la guerra prosegua con
altri mezzi nelle aule del Parlamento dove le divisioni e i distinguo, ieri
argomentati dalla tribuna di una riunione di partito,diventino domani un fronte
del dissenso variegato ma compatto, unito magari solo dalla voglia di mettere
in difficoltà Renzi. Sbaglierò, ma credo che il governo non cadrà, e nemmeno
che una pattuglia di irriducibili dia vita all’ennesima scissione nella storia
bicentenaria della sinistra. Ma la tentazione di mettere il premier sulla
graticola, e magari di spingerlo nelle braccia di B. per trovare voti che
potrebbero mancare all’appello, sarà irresistibile. Insomma, non chiamiamola
scolta e non definiamola storica, e però che questo sia un passaggio decisivo
non c’è dubbio. La Verità E’ Che La Sinistra, e il Pd che ne è l’ultima
filiazione, non ha ancora risolto del tutto il suo rapporto con l’impresa
(anche il minuetto in direzione Pd sulla definizione di “padroni” la dice
lunga…) e con il mondo del lavoro. A ogni appuntamento ecco riemergere le due
anime del partito, le stesse che hanno
convissuto per anni dentro il Pci-Pds-Ds e dentro Dc-Ppi-Margherita senza mai arrivare
a una vera sintesi. E non è questione di “rottamazione”. In fondo tutta la
discussione inotrno all’articolo 18, ai diritti e alle garanzie dei lavoratori
continua a ruotare intorno a quel nodo lontano e irrisolto: toccò a Lama, toccò
a D’Alema, a Craxi, a Berlusconi, a Prodi (..). Che Renzi sia stato spinto – anche dalla saggia
“moral suasion” di Giorgio Napolitano – a tentare una mediazione con gli
oppositori; che nel Pd si giochi ancora una battaglia nonostante l’esito delle
elezioni europee; che la minoranza rumorosa del partito senta di nuovo
nell’aria la possibilità di far pesare la propria identità profonda, tutto ciò
conferma che quell’antico groviglio è ancora lì. Assieme a un’altra questione
che accompagna da anni la missione del Pd: la capacitò di capire quanto il
partito sia davvero in sintonia con il Paese che rappresenta. Una certa miopia,
tanto per fare un esempio, ha impedito di capire in passato la verità sulla
scala mobile (referendum perso dalla sinistra) o sull’articolo 18 (referendum
disertato dai cittadini) e oggi forse scambia partito e parlamento con la
realtà delle fabbriche, delle imprese, degli uffici. Matteo Renzi, per esempio,
si dice convinto di essere in sintonia più con il Paese che con gli apparati e
sta tentando di conquistare consensi moderati senza perdere quelli della
sinistra più moderna. Non possiamo sapere se gli riuscirà o no, e a che prezzo,
ma non era forse con questa missione che era nato il Pd?
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa
settimana – L’Espresso – 9 ottobre 2014
Nessun commento:
Posta un commento