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lunedì 13 ottobre 2014

Lo Sapevate che: Ma di Pd ce n'è ancora due ...



Per una volta il “Financial Times” – solitamente i  giornalisti italiani fanno precedere il nome della testata dall’aggettivazione “l’autorevole” – ha dato ragione a Renato Brunetta che ha definito “storica” la svolta impressa da Renzi alla questione dell’articolo 18 e la sua conseguente vittoria a larga maggioranza nella direzione del suo partito, il Pd. A enfatizzare si azzecca, e prima di parlare anche solo di “svolta”, pur senza aggettivi, bisognerebbe contare almeno fino a dieci. Prima di capire infatti che cosa è davvero successo in queste ore frenetiche e velenose – da tempo non si sentivano risuonare nell’arena di un partito perfidie e sospetti così gravi come quelli rilanciati urbi ed orbi dalla gelida diretta streaming – sarà opportuno leggere il testo definitivo della nuova legge sul lavoro: appena chiusi i lavori, l’articolato entrato in Direzione era già stato emendato per tener conto delle esigenze della minoranza, e alla fine il contenuto non differiva poi granché dalla riforma Monti-Fornero di due anni fa, che invece poco prima si voleva smontare. E vabbè. Poi c’è l’incognita conti sulla quale D’Alema & C. già danno battaglia sostenendo che i nuovi ammortizzatori sociali previsti dal Job’s act costeranno molto ma molto di più del miliardo e mezzo previsto da Renzi. Non Tira Una Buona Aria. Ed è dunque facile immaginare che la guerra prosegua con altri mezzi nelle aule del Parlamento dove le divisioni e i distinguo, ieri argomentati dalla tribuna di una riunione di partito,diventino domani un fronte del dissenso variegato ma compatto, unito magari solo dalla voglia di mettere in difficoltà Renzi. Sbaglierò, ma credo che il governo non cadrà, e nemmeno che una pattuglia di irriducibili dia vita all’ennesima scissione nella storia bicentenaria della sinistra. Ma la tentazione di mettere il premier sulla graticola, e magari di spingerlo nelle braccia di B. per trovare voti che potrebbero mancare all’appello, sarà irresistibile. Insomma, non chiamiamola scolta e non definiamola storica, e però che questo sia un passaggio decisivo non c’è dubbio. La Verità E’ Che La Sinistra, e il Pd che ne è l’ultima filiazione, non ha ancora risolto del tutto il suo rapporto con l’impresa (anche il minuetto in direzione Pd sulla definizione di “padroni” la dice lunga…) e con il mondo del lavoro. A ogni appuntamento ecco riemergere le due anime del partito, le stesse  che hanno convissuto per anni dentro il Pci-Pds-Ds e dentro Dc-Ppi-Margherita senza mai arrivare a una vera sintesi. E non è questione di “rottamazione”. In fondo tutta la discussione inotrno all’articolo 18, ai diritti e alle garanzie dei lavoratori continua a ruotare intorno a quel nodo lontano e irrisolto: toccò a Lama, toccò a D’Alema, a Craxi, a Berlusconi, a Prodi (..). Che  Renzi sia stato spinto – anche dalla saggia “moral suasion” di Giorgio Napolitano – a tentare una mediazione con gli oppositori; che nel Pd si giochi ancora una battaglia nonostante l’esito delle elezioni europee; che la minoranza rumorosa del partito senta di nuovo nell’aria la possibilità di far pesare la propria identità profonda, tutto ciò conferma che quell’antico groviglio è ancora lì. Assieme a un’altra questione che accompagna da anni la missione del Pd: la capacitò di capire quanto il partito sia davvero in sintonia con il Paese che rappresenta. Una certa miopia, tanto per fare un esempio, ha impedito di capire in passato la verità sulla scala mobile (referendum perso dalla sinistra) o sull’articolo 18 (referendum disertato dai cittadini) e oggi forse scambia partito e parlamento con la realtà delle fabbriche, delle imprese, degli uffici. Matteo Renzi, per esempio, si dice convinto di essere in sintonia più con il Paese che con gli apparati e sta tentando di conquistare consensi moderati senza perdere quelli della sinistra più moderna. Non possiamo sapere se gli riuscirà o no, e a che prezzo, ma non era forse con questa missione che era nato il Pd?
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa settimana – L’Espresso – 9 ottobre 2014

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