Sono un’antropologa medica di 28 anni. Appena tornata dalla
Sierra Leone, dove ho collaborato con l’università locale, non ho potuto non
notare come nelle ultime settimane in virus Ebola abbia contagiato anche l’Europa,
ovviamente nella sua igienica, civile e tutto sommato innocua versione
mediatica. Così, col crescere del numero di morti in Guinea, Sierra Leone,
Liberia e Nigeria, abbiamo assistiti al crescere dei titoli apocalittici sui
nostri quotidiani, del lessico millenarista, di catastrofi umanitarie, con
tutto quel corredo di immagini che fanno di una tragedia molto umana e molto
politica una lotta all’ultimo sangue tra il Bene e il Male, tra la Vita e la
Morte. Sì, perché quel che troppo poco si è detto è che se il virus sta
imperversando proprio in Sierra Leone, Liberia e Guinea, tre dei Paesi con il
più basso reddito pro capite al mondo, la ragione è da cercare meno in
imperscrutabile disegno divino e più in una storia, remota e recente, di
sfruttamento e dominazione selvaggia da cui l’Occidente non può chiamarsi
fuori.(…) Se sono i bianchi, gli occidentali, i primi ad aver contribuito alla
“violenza strutturale” che si abbatte su queste popolazione e a trarne
vantaggio, a concepire gli africani come l’altro da sé per antonomasia
sull’asse dell’irrilevanza, come ci si può aspettare che nelle mani dei banchi,
seppur in veste di medici, ci si rimetta con fiducia e magari con gratitudine
per farsi curare da una malattia che è così difficile da dominare proprio a
causa dello stato di prostrazione non solo sanitaria, ma anche politica,
economica e sociale in cui versano questi Stati? A noi europei il compito
sempre più urgente di interrogare questo presente fosco con onestà e coraggio,
rinunciando a immagini stereotipate e di sapore coloniale e tutto sommato
rassicuranti, per domandarci, davvero cosa oggi Ebola dice di noi, della nostra
storia e dl nostro attuale posto nel mondo, nonché delle indicazioni importanti
che ci dà per il futuro.
eleonor_sp@hotmail.it – Eleonora Spina
Più della mia risposta, vale la sua testimonianza, che per
ragioni di spazio ho dovuto tagliare. Concordo che ogni volta che si verifica
una tragedia nel mondo noi occidentali dovremmo chiederci se qualche colpa non
l’abbiamo anche noi. Se non altro per il fatto che per secoli l’Occidente ha
colonizzato il mondo e l’Africa in particolare. Oggi non c’è più il
colonialismo territoriale, ma non è venuto meno quello economico, dagli aspetti
meno evidenti, ma più sofisticati, più insidiosi e devastanti di quello territoriale. Se è
vero me lei riferisce che la Sierra Leone è un paese lussureggiante e
ricchissimo, con un reddito pro capite tra i più miseri al mondo, non è certo
per colpa degli abitanti, semmai dei loro governanti, qualora si siano fatti
corrompere dalle multinazionali occidentali che hanno come unico codice di
comportamento loro profitto. E noi, gente comune, che colpa ne abbiamo? Quella
che Karl Jaspers, inaugurando l’anno accademico nel 1946 a Heidelberg, imputò
ai suoi connazionali, e chiamò “colpa metafisica”, diversa da quella politica,
da quella giuridica, da quella morale. Una colpa che consiste nel fatto che,
dopo quanto era accaduto in Germania con i milioni di morti nei campi di concentramento,
“noi tedeschi siamo ancora vivi, questa è la nostra colpa”. Lo stesso possiamo
dire oggi, nei confronti del resto del mondo, non possiamo non riconoscerci una
“colpa metafisica”, se appena consideriamo che il nostro benessere è stato in
gran parte pagato dalle popolazioni dei Paesi che abbiamo colonizzato, prima
territorialmente e oggi economicamente, sfruttando le ricchezze della loro
terra, senza sollevare di un palmo le condizioni della loro esistenza. Queste
popolazioni oggi vengono da noi. Mettono in gioco la loro vita, per avere
almeno uno straccio di speranza di vita.
umbertogalimberti@repubblica.it
– La Donna di Repubblica – 4 ottobre 2014
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