Trent’anni fa Michail Gorbacev restituì la democrazia al
popolo russo con una parola magica: Glasnost, Trasparenza. Evviva, siamo diventati
glasnotici pure noi italiani. La pubblica amministrazione è online, basta un
clic e t’appare sullo schermo il faccione del burocrate, il suo stipendio, il
curriculum di Stato. Gli incontri fra i partiti vanno in streaming. Le
decisioni di governo sono regolarmente precedute da una consultazione popolare,
usando ancora una volta il web: è accaduto sul valore legale della laurea, sul
Terzo settore, sulle riforme costituzionali proposte dal governo Letta, sulla
burocrazia, sulla giustizia, sullo Sblocca Italia, sulla scuola. Diciamolo: è
tutta una finta, un’ammuina. Se c’è un accordo di potere, se c’è una nomina di
sottogoverno o nelle autorità di garanzia, la scelta avviene sempre al buio, al
riparo da sguardi indiscreti. Per
esempio: gli otto laici del nuovo Csm, chi li ha selezionati? E come, e quando,
e perché? E i due giudici costituzionali, su cui il Parlamento s’è esercitato
in mille votazioni senza quorum? Chi ha candidato i candidati? Senza dire del
patto del Nazareno, il cemento che regge la legislatura. Per forarlo servirebbe
una trivella, e chissà quali segreti verrebbero a quel punto scoperchiati:
magari il nome del prossimo capo dello Stato, magari l’impegno a graziare
Berlusconi per tutti i secoli a venire. Quanto Alle
Consultazioni
online, si sa quando cominciano,vengono annunziate con un gran rullo di
tamburi, poi però sui risultati cala il segreto di Stato. Ecco perché non si sa mai quando finiscono. Vengono
annunziati con un gran rullo di tamburi, poi però sui risultati cala il segreto
di Stato. Ecco perché gli italiani le disertano: la consultazione promossa da Renzi
sul non profit, per esempio, ha incassato meno di 800 mail. D’altronde la
partecipazione politica ormai si consuma in uno stadio vuoto, da quando gli
(ex) spettatori hanno capito che la partita si svolge sempre altrove, lontano
dal terreno di gioco. Non a caso il Pd ha perso in un anno quattro iscritti su
cinque, non a caso Forza Italia ne racimola 8 mila appena, non a casa alle
primarie in Emilia ha votato il 15 per cento rispetto a quanti, l’anno scorso,
avevano scelto il segretario nazionale. Insomma, l’elettore è diventato
abulico, indifferente ai destini della Patria. E’ il primo effetto dell’opacità
che circonda la nostra vita pubblica, ma non è l’unico effetto. Perché agli
abulici si sommano inoltre gli arrabbiati, l’urlo che gonfia l’antipolitica, il
discredito che sommerge le stesse istituzioni. E perché gli uni e gli altri –
sia gli abulici che gli arrabbiati – scorgono ormai complotti dappertutto, vuoi
per mano della massoneria, vuoi dalla mafia, vuoi del Club Bilderberg, il
circolo esclusivo che governerebbe il mondo. Come dargli torto, quando della
trasparenza rimane solo l’apparenza? E come condannare i deputati che rifiutano
di votare i nominati, quando la designazione alla Consulta o al Csm si
manifesta attraverso un messaggino inviato dal capogruppo sui loro cellulari? Un Tempo, nel
buon tempo antico senza Glasnost, non succedeva. Le segreterie politiche
indicavano un nome, sottoponendolo però all’assenso dei gruppi parlamentari,
con un dibattito corale prima del voto in Parlamento. Ma se è per questo, non
succede neanche in altre contrade. Negli Stati Uniti le nomine di Obama devono
ricevere l’advice and consent del Senato, e per il nominato scattano
interrogazioni e analisi del sangue. Se Teresa Bene, eletta al Csm in quota Pd
senza possederne i titoli, avesse subito preventivamente un’audizione, forse
avremmo scoperto l’uovo marcio prima di cucinare la frittata. Sennonchè il
nuovo Senato, quello disegnato dalla riforma votata l’8 agosto, non ha affatto
i poteri di controllo del Senato americano. E d’altronde sono disarmati pure i
cittadini,niroma3.it nonché gli iscritti e i militanti di partito, dato che in
Italia manca una legge sui partiti, e manca dunque un argine alla signoria del
gruppo dirigente. Ce l’avevano promessa, come no. E sarebbe doverosa, perché la
democrazia – diceva Bobbio – è “il potere del pubblico in pubblico”.
Nell’attesa, contentiamoci della sua caricatura: un potere privato che ci priva
di ogni potere.
michele.ainis@uniroma3.it
– Michele Ainis – L’Espresso – 16 ottobre 2014
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