In molti Paesi europei
la caduta di produzione industriale e la perdita di posti di lavoro sono state
compensate almeno in parte, dal boom del turismo. In Italia no, eppure siamo la
nazione che può offrire di più ai visitatori. Anche quest’anno si è chiuso con un segno negativo, un calo
di presenze, di fatturato e di posti di lavoro. Le cose urgenti da fare sono
note da anni. Bisognerebbe investire nella rete, dove passa ormai il 40 per
cento degli acquisti e l’Italia è in tragico ritardo. Investire meglio sulla
cultura, valorizzare i beni artistici e le città storiche, dove non abbiamo
concorrenza, e rassegnarci al fatto che le nostre spiagge e montagne sono
invece sempre meno attraenti e sempre più care di altre. E ancora: rendere più
sicuro il territorio: cambiare il regime fiscale, come per tutto il resto;
prendere a modello il sistema turistico di altre nazioni, la Francia su tutti;
usare meglio l’informazione e soprattutto il servizio pubblico televisivo, in
Italia franato a livelli culturali penosi. Eccetera. Tutti i governi lo
sapevano, nessuno ha fatto nulla, anzi in genere hanno agito al contrario. Per
evitare di deprimersi, bisognerebbe anche guardare alle cose che in Italia hanno
funzionato, capire perché e cercare di ripetere il fenomeno altrove. Uno di
questi miracoli si chiama Torino. Liberata dalla cappa di ferro della Fiat, nel
male ma anche nel bene, la città è tornata in questi anni all’antico splendore
di città d’arte. In meno di un decennio ha moltiplicato per sette il numero dei
visitatori, in gran parte grazie al turismo culturale di mostre, eventi legati
al cinema, al teatro e alla letteratura, al rilancio dello splendido Museo
Egizio e all’impresa del recupero di Venaria Reale. Fino agli anni Novanta,
neppure i torinese sapevano dell’esistenza di questa reggia da favola alle
porte della città. L’ho visitata una volta, inseguendo la suggestione dei libri
di storia, e ho trovato un enorme rudere e la chiesa dello Juvarra ridotta a
deposito di munizioni. Una notte per fortuna l’anno visitata anche Piero
Fassino e Walter Veltroni, allora ministro della Cultura, e si è finalmente
deciso di recuperarla. In soli otto anni, usando per una volta tutti e bene i
fondi europei, questa Versailles italiana, monumentale e struggente prova della
megalomania dei Savoia, in sette anni è diventata da nulla il quinto museo
italiano per numero di visitatori. E’ una storia talmente anomala per l’Italia
da essere tentati di scovarvi un qualche inganno, una ruberia, una furbata
nascosta. Finora non ho trovato nulla del genere. E se fosse semplicemente che
quando si vuole in Italia si riesce ancora a fare cose straordinarie?
Curzio Maltese – Contromano - Il Venerdì di Repubblica – 3
Ottobre 2014
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