A pranzo un amico ricorda il suo professore di lettere. Una
volta si è ritrovato con un tema
giudicato “Gravemente insufficiente, con tendenza al genio”. Cos’era
successo? Il mio amico aveva usato la parola “cloppettio”,parlando di rumore di
passi e tacchi per la strada e il professore aveva sia stangato sia ammirato
èer il neologismo. “Ma davvero mi sono inventato la parola?”, mi chiede ora
l’antico allievo. Tocca controllare. Nessun vocabolario la registra, ma c’è
traccia di qualche uso, su Google. Il fatto è che i vocabolari accolgono
l’onomatopea jacovittiana “cloppete” (impiegata soprattutto per i cavalli).
“Cloppettio” è dunque una parola costruita per analogia: se da “tac-viene –
tacchete” e da “tacchete” viene “tacchettio”; allora da “clop”, che produce
“cloppete”, può benissimo venire un “cloppettio””. Si aggiunge il suffisso
“io”, che rende la parola un nome, ed esprime continuità, frequenza. Io, di
mio, accetterei anche “cloppettare”. “Cloppettio” non è una voce registrata e
ha scolasticamente ragione il professore. Se la si usa ci si fa capire, e ha
empiricamente ragione l’allievo. Così l’ho consolato, raccontandogli di quando
uno scrupoloso caporedattore mi ha invitato a sostituire una parola che avevo
usato in un articolo. Era la parola: “inaspettatezza”. Mi ha detto: “Guarda che
non esiste”. Io ho protestato: “Figurati se non esiste! Sono sicuro di averla
letta e sentita e comunque per dire “qualità di ciò che è inaspettato” non ci
sono altre parole”. Dopo di che sono andato a controllare e in effetti non l’ho
trovata registrata: ho abbozzato e l’ho sostituita con un giro di parole
(adesso è registrata, ed è datata 1744, tiè). Poi mi sono ricordato dove
l’avevo letta: in un saggio di semiotica di Umberto Eco. Come le parole che esistono
possono formare frasi che non sono mai esistite prima di allora (se non
potenzialmente): così, entro certi limiti, pezzi di parole esistenti possono
dare vita a parole inedite ma perfettamente lecite.
Stefano Bertezzaghi – Come dire – L’Espresso 9 ottobre 2014
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