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lunedì 27 ottobre 2014

Lo Sapevate che: Perchè la banda del paese che suona Il trovatore commuove Muti

Capita ancora in certi angoli di Puglia d’imbattersi in una banda di paese che intona un’aria dal Trovatore o dalla Traviata. Non ho mai capito perché queste esecuzioni di onesti dilettanti riescano a commuovere quasi come le versioni sublimi di Riccardo Muti. Finché non ho letto La musica è pericolosa di Nicola Piovani. Non si tratta di una spiegazione immediata, bisogna leggere tutto il libro, che è impresa piacevole e facile anche per chi di musica conosca poco. A differenza di molti suoi colleghi, Piovani nella via non parla quasi mai di musica, E’ troppo curioso. E’ più facile conoscere il suo pensiero sulle delle stringhe, il teatro di Eduardo, le divisioni nel Pd o il ruolo di Gervinho nella Roma, piuttosto che sull’attività cui ha dedicato la vita da quando, a tre anni, qualcuno gli mise fra le mani una fisarmonica. Anche in questo libro si comincia a parlare di musica e si finisce molto altrove. E’ il talento dell’autore, l’arte della variazione. Il musicista Piovani è straordinario, almeno per me, nel prendere un tema semplice, in genere popolare, e nel portarlo di variazione in variazione verso territori nuovi, elevandolo a raffinatezze e complessità del tutto originali. Sarebbe un po’ come partire in un discorso dal testo di Papaveri e papere per approdare alla dialettica hegeliana. Tutta la musica di Piovani è un viaggio dal noto all’ignoto. Il contrario della colonna sonora quotidiana che ormai ci circonda. Come compositore, si è andato a cercare forme espressive ovunque, nella musica sinfonica come nella colonna sonora cinematografica, nel jazz e nella tradizione popolare, nella musica greca e nel rock, nella canzone e nel melodramma. Nella vita si è andato a cercare l’intelligenza ovunque si trovasse, nell’amicizia con alcune fra le menti artistiche più brillanti del nostro Paese, da Federico Fellini a Elsa Morante, da Vincenzo Cerami e Roberto Benigni a Carlo Cecchi, da Fabrizio De Andrè a Paolo Conte ed Angelo Arpa, padre gesuita. Il risultato finale di tanto contaminare, come si diceva un tempo, è qualcosa di inconfondibilmente italiano, ben radicato nella nostra storia. Quando suona Piovani, quando canta Paolo Conte, quando parla Benigni, ci si sente ancora parte di una patria culturale. E’ lo stesso sentimento che si prova nello scoprire lo splendore delle nostre piccole città, la  bellezza strappata a terreni e tempi infami, protetta col sacrificio di generazioni dalle offese della natura e degli uomini. Lo stupore commosso di fronte a una banda di dopolavoristi che, in un angolo di Salento, attacca il Trovatore.

Curzio Maltese – Il Venerdì di Repubblica – 24 – ottobre – 2014 -

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