Fabio Cusin, l’anti
storico d’Italia, considerava che l’eterno modello di governo italiano fosse la
signoria quattrocentesca. Non idee, ma clientele. Non programmi diversi di
società a confronto, ma la pura e dura lotta per la presa del potere. Una volta insediato il nuovo signore al
posto del vecchio, nulla cambiava. La corte si adattava a servire il nuovo
padrone, il cui stile di governo alla fine non si discostava dal predecessore.
Così funziona ancora la politica italiana e anche la sua ancella, la
televisione. La crisi dei talk show è stata annunciata, almeno in questo
spazio, da almeno un paio d’anni, quando gli ascolti erano ancora altissimi.
Ora che sono crollati, si corre ai ripari con qualche trovata, la solita guerra
di comici e di ospiti illustri. Senza successo perché non si tratta di riparare
la macchina, ma piuttosto di rottamarla, come usa dire. La crisi del talk show
è in realtà soltanto un effetto della crisi di un modo di far politica
dominante nella seconda repubblica, della quali il format televisivo e i suoi
celebrati sacerdoti sono stati il principale strumento di comunicazione. La
seconda repubblica è vissuta per vent’anni di pochissimi atti concreti e
nessuna vera riforma, ma distribuendo in compenso una messe incredibile di
annunci miracolistici. Chi non ricorda il milione di posti di lavoro promessi
da Berlusconi nel salotto di Vespa, il contratto con gli italiani, la lavagna
con le grandi opere da realizzare? Tutti e comunque molti più di quanti non
ricordino oggi che nel periodo di governo di Berlusconi sono stati persi due
milioni di posti di lavoro e non è stata realizzata neppure mezza grande opera.
Prima o dopo, gli italiani si sarebbero stancati di ascoltare i politici
promettere l’impossibile, giustificarsi poi dell’incapacità di governare con la
pesante eredità ricevuta e rinnovare la dimostrazione che gli asini volano alla
vigilia di una nuova campagna elettorale. Il punto non è questo o quel
conduttore, questo o quel signore televisivo con la corte fissa di ospiti.
Tanto meno la crisi d’ascolti può dipendere dalla formula o dal comico che
introduce il gioco. Nel resto d’Europa il talk show all’italiana è uno
spettacolo incomprensibile. I ministri vanno in televisione una volta al mese a
spiegare quanto hanno fatto e non a sciorinare il libro dei sogni. I politici
di medio calibro che qui ci siamo sorbiti per anni, in tv appaiono una volta
l’anno. Per trasmissioni d’attualità e d’informazione s’intendono in Gran Bretagna
o Germania o Francia i programmi d’inchieste, che nella televisione pubblica
italiana sono una piccola riserva indiana presidiata da Gabanelli, Iacona, ora
Giammaria. Quando sarà così anche in Italia forse la politica produrrà meno
chiacchiere e più decisioni.
Curzio Maltese- Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 10
ottobre 2014
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