Ho 19 anni e un dubbio atroce. Di recente, in un’intervista
su Repubblica, Jacques attali si
chiede:”A che titolo si dovrebbero avere due case e due cellulari, e non più
amori? Nella libertà moderna si rivendica il diritto di non scegliere. Meglio:
di scegliere un congiunto nell’istante, senza che ciò pregiudichi la scelta di
un altro poco dopo”. Il dubbio che mi assale è questo: siamo sicuri che sia
“libertà”, questa? A me sembra una libertà che si stacca dalla responsabilità,
che non dà risposte e quindi non sceglie. Questo frenetico saltare da
un’esperienza all’altra (che si tratti dell’acquisto di merci o dell’intreccio
di nuove relazioni sentimentali, poco importa) non fa che evidenziare la
polverizzazione del nostro desiderio, degradato e capriccio. Il rapporto
sessuale stesso, a cui fa riferimento. Attali quando parla della dinamica degli
“scopamici”, slegato dall’amore e ridotto a meccanica dei corpi, non fa che
evidenziare questo nostro essere “vasi forati”, costituzionalmente incapaci di
essere saziati. Mi chiedo quando capiremo che la sedicente “libertà moderna” è
alla base della nostra infelicità.
Martino Mancin – martinomancin@yahoo.it
Quando Jacques Attali parla di “poliamore”,come lui lo
chiama, dice una cosa che c’è sempre stata. La differenza consiste nel fatto
che la cultura di un tempo lo secretava e al limite lo censurava, mentre la
cultura di oggi lo giustifica e addirittura lo teorizza. Questo è avvenuto
perché ci siamo evoluti? Perché siamo meno ipocriti? No, avviene perché in un
mondo divenuto instabile, precario, incerto e dal futuro imprevedibile, diventa
difficile contrarre legami affettivi a lungo termine. Di qui il disimpegno
emotivo e insieme il bisogno spasmodico di godere di tutto ciò che offre il
presente, soprattutto in una cultura come la nostra che, per il bene
dell’economia, non passa giorno che non ci inviti al consumo delle cose e,
perché no, anche dei piaceri, promuovendo così un etica dell’edonismo, che non
è il piacere a lungo termine come insegnava Epicuro,ma il piacere mordi e fuggi
che si consuma sul momento. (..). A questo punto anche la libertà cambia
significato. Non più la libertà di scegliere un percorso in grado di realizzare
la propria personalità, il proprio daimon,
come dicevano gli antichi, da cui dipende la felicità, che loro chiamavano eu-daimonia, buona realizzazione del
proprio demone, ma una libertà intesa come “revocabilità di tutte le scelte”.
(..) . Matrimoni aperti, relazioni senza impegno, poliamori non sono
espressioni di una cultura che si è evoluta ed emancipata dai divieti della
religione o dalle consuetudini collaudate dalla tradizione, ma l’effetto
inevitabile di una società regolata sostanzialmente dal mercato e dal consumo,
che ci dà l’illusione di una libertà illimitata, a scapito della costruzione di
una biografia significativa capace riconsegnarci un’identità in cui
riconoscersi. (..). Ci si ritrova con un io che, se alla fine non è minacciato
dalla disintegrazione, non può evitare di fare i conti con un senso di vuoto
interiore, per attenuare il quale non bastano gli psicofarmaci a cui sempre più
spesso si fa ricorso, perché anche gli psicofarmaci appartengono a quel mondo
del consumo forzato che io vedo come causa prima di tutta l’insoddisfazione che
deriva da questo nuovo concetto di libertà come revocabilità di tutte le
scelte.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 11 ottobre 2014
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