Il presidente del Senato Piero Grasso è l’ultimo che ha
lanciato l’allarme, ormai più di un anno da: “Serve una legge che disciplini,
in maniera chiara e trasparente, l’attività lobbistica, che al momento si muove
in maniera nascosta”. Scandali, polemiche e mancanza assoluta di trasparenza
non hanno portato, però, ancora a nulla di concreo. Annunci e promesse, ma il
governo Renzi non ha dato, alla materia norme nuove e codici di comportamento
finalmente definiti. Così l’Italia resta un caso quasi unico tra le democrazie
occidentali. Mentre in America, nel Parlamento europeo, in Germania e nei paesi
scandinavi esistono leggi stringenti che regolamentano l’azione della lobby, a
Montecitorio e Palazzo Madama dal 1948 a oggi sono stati presentati una
cinquantina di disegni di legge sul settore, ma nessuno è stato mai approvato.
L’ultima volta ci ha provato Enrico Letta nel 2013, ma il provvedimento è stato
messo su un binario morto prima ancora di essere discusso in aula. Un peccato, perché
si ipotizzava la nascita di un registro dei lobbisti (oggi, nonostante le
regole più stringenti volute dal Movimento Cinque Stelle, i rappresentanti
delle aziende si muovono tra commissioni e aule senza alcun controllo reale),
sanzioni per coloro che violano la legge, un diario pubblico degli incontro tra
politici e portatori di interessi. Per ora l’unico albo dei lobbisti in vigore
è stato adottato dall’ex ministro dell’Agricoltura Mario Catania, che nel 2012
ha istituito nel suo dicastero una “Unità per la trasparenza” in cui venivano
documentati i rapporti tra amministrazione e lobby. Anche alcune regioni hanno
approvato leggi regionali in materia, come la Toscana, il Molise e l’Abruzzo. A
Roma, invece, tutto è fermo al 1948.
Emiliano Fittipaldi – Primo Piano – Poteri Forti – L’Espresso
– 30 ottobre 2014 -
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