Ho 27 anni e sono tornata alla ia terra da brava napoletana.
Ero e sono da brava napoletana. Ero e sono per molti un cavallo vincente,
laureata in tempo, a breve con una seconda laurea, sono indipendente dall’età
di 18 anni, sono chef diplomata a una
titolata scuola, ho fatto esperienze professionali in tutti i campi. Faccio al
momento un lavoro degradante, sei giorni su sette, 10 ore al giorno per solo
tre euro l’ora, contratto falso, dimissioni anticipate firmate senza data,
quattordicesima firmata ma non percepita, 15 minuti di pausa totali, turni di
lavoro counicati a mezzanotte. Il tempo per la tua famiglia, per la cultura,
per una cena con amici, per gestire i tuoi impegni non valgono nulla, importa
solo che domani farai ancora gelati su gelati senza parlar troppo, altrimenti a
lavorare non torni più. Con i colleghi nessuna ribellione al “padrone”,
ostilità e competizione tra sottoproletari, pochezza d’animo perché nella tua
vita dormi, lavori e mangi solamente, non conosci più sentimenti come la
gentilezza e la collaborazione. In questo quadro molto cupo io sono l’”inetta a
vivere” o ancora quel “cavallo vincente”? a schizofrenia tra quando hai un
grembiule e servi alri per tutto il tempo, non sei nulla, mastichi letame e le
tue letture sono elemento di scherno. Io mi sento dentro come un vuoto, che si
mangia pari di me, lentamente. Non stanno rubando solo il nostro presente e la
nostra giovinezza. Saremo “sommersi” o “salvati”?
Speranza A.
Ricevo molte di queste lettere. E in questo periodo, in cui
tanto si discute dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, mi chiedo: chi
si prende cura di quanti lavorano in queste condizioni? Ma la domanda che più
mi assilla: le persone che lavorano in queste condizioni, a chi possono
rivolgere? C’è in Italia un Ente preposto al controllo di contratti falsi o
irregolari a cui i dipendenti possono rivolgersi nella forma dell’anonimato per
non subire, oltre alla vessazione dei tempi di lavoro, anche la perdita dei tre
euro all’ora che necessitano, naturalmente non per vivere, ma per poter dire a
se stessi che stanno lavorando? In Italia meridionale ci sono immigrati che
lavorano in condizioni disumane, 12 o 15 ore al giorno per una paga giornaliera
di 20 euro, naturalmente senza contributi, né previdenza né quant’altro è
previsto per un dipendente anche a tempo determinato. E dopo che servizi
giornalistici e televisivi denunciano queste situazioni cosa succede?C’è
qualche Ente preposto al controllo di queste condizioni di lavoro? C’è qualche
Agenzia delle Entrate che si chiede perché da quel lavoro non arrivano le
tasse? Non sono rari i casi di costruzioni abusive, spesso condonate da
provvedimenti che periodicamente intervengono per fare un po’ di cassa. Ma
quando no costruisce una casa o un capannone senza permessi, non se ne accorge
nessuno? Eppure case e capannoni non sono strutture invisibili. Ci sono
studenti fuori sede che pagano affitti in nero a proprietari che non intendono
pagare le tasse. A chi si possono rivolgere per denunciare la situazione senza
perdere il diritto all’abitazione?(…). I parlamentari che dopo 18 sedute, al
momento in cui scrivo, non sono in grado di eleggere due giudici della Corte
Costituzionale stanno davvero facendo il loro lavoro peraltro ben pagato?
Perché, se tutto questo è normale, e sono solo pochi esempi, che futuro diamo a
“Speranza A” che mi scrive, - e di cui
tralascio nome, cognome e indirizzo mail, per non farle perdere i tre euro
all’ora di cui ha bisogno, di nuovo, non per vivere, ma per sentirsi una che
lavora – per farmi sapere che laurearsi in Italia è inutile? Bel messaggio per tutti
gli studenti che frequentano l’università , che a questo punto si sentono
demotivati, Ma purtroppo è così. L’università
oggi è sempre più un parcheggio per potersi dare per qualche anno
un’identità, salvo poi perderla l’indomani della laurea. Il potere legislativo
e quello esecutivo sanno far qualcosa, oltre dare visibilità politica e
personale a se stessi?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 25 ottobre 2014 -
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