Diciotto. Numero magico. Corrisponde ad altrettanti miliardi
di tasse che Matteo Renzi annuncia di voler tagliare. Diciotto come il numero
dell’articolo dello Statuto dei lavoratori, cancellato con il voto di fiducia.
Gioca arioso il presidente del Consiglio. Contrappone la vecchia sicura tutela
sindacale a futuri accattivanti vantaggi fiscali. 18 contro 18. Vince facile.
E’ affascinante la sfrontatezza con cui Renzi dispensa ottimismo agli italiani
stremati dalla crisi. Il suo consenso personale cresce proporzionalmente alla
decrescita infelice del Paese. Ben sei elettori su dieci danno credito al
premier, secondo le stime di “Atlante politico”. Il suo partito Pd, anzi PdR
(partito di Renzi, come lo definisce Ilvo Diamanti) è quotato al 41 per cento
dei voti, il doppio del 5 Stelle; con Forza Italia ridotta a galleggiare
intorno al 25. Nella sfibrata democrazia italiana il populismo riformista
impersonato dall’ex sindaco di Firenze sembra l’unico antidoto ai populismi
razzisti e anti-euro montanti nel Vecchio Continente. Reggerà?. “Promesse da
Matteo” è il titolo di copertina di questo numero. Analisi delle tante cose
dette e di quelle contraddette in otto mesi di governo. Una guida per
orientarsi. Il boyscout che ha conquistato Palazzo Chigi sembra farci vivere in
un continuo presente; tutto è pronto, tutto è imminente, tutto è in fase di
realizzazione salvo poi accorgerci che le questioni strutturali – quelle che
dovrebbero sostenere una possibile ripresa economica – non sono state ancora
affrontate. Ancora una volta è toccato alla Banca d’Italia raccontare una amara
realtà: per dare fiducia agli investitori e alle famiglie è “necessario
tendenzialmente ridurre la spesa pubblica e la tassazione, procedere alla
realizzazione degli interventi strutturali” riducendo “gli sprechi” e “rendendo
percepibile l’azione di riforma”. Lo ha detto il vicedirettore di Bankitalia
Luigi Signorini nel corso dell’audizione alla Camera sul Def. Rendere
percepibile l’azione di riforma, testuale. Perché finora non si intravedono
effetti. Dopo tre anni di recessione consecutiva, di cui l’attuale premier
ovviamente non ha colpa, le speranze di ripresa sono affidate alla manovra “di
sinistra”, la prima firmata da Renzi e Padoan: meno tasse sul lavoro, più soldi
in busta paga, lotta agli sprechi e all’evasione fiscale. L’ultima promessa di
Matteo? O forse la penultima, bravo com’è a dispensarne sempre di nuove…Faccia
di più e con più coraggio.
Dirigere “l’Espresso” è un’emozione totale. E totale è
l’impegno che ne deriva. C’è un Paese che non si arrende al declino, nonostante
tutto. Da raccontare senza pregiudizi. Chiunque si trovi al governo. Come in
questi giorni di fango a Genova dove gli “angeli” con la vanga fanno risaltare
l’inconcludenza dominante. “l’Espresso” nel 2015 celebra i suoi 60 anni.
L’icona più immaginifica del giornalista italiano ha imposto nuovi linguaggi di
narrazione della realtà; ha lanciato campagne memorabili; ha introdotto per
primo il tema – in un’Italia ancora fanfanian-clericale-dei diritti civili; ha
incalzato la sinistra marxista affinché uscisse dal fortino della ortodossia
sovietica. Dunque news: tante, forti, esclusive. E nello stesso tempo battaglia
delle idee. Ieri come oggi. (…).
Luigi Vicinanza – Editoriale – L’Espresso – 23 ottobre 2014
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