E’ lungo l’elenco dei poteri piccoli e grandi con i quali
Matteo Renzi non dialoga, ostenta indifferenza o contro i quali spara a palle
incatenate. Si dirà: non è una novità. Vero, a ormai gli episodi sono talmente
tanti da far sospettare l’esistenza di un metodo: si impone la ricerca di un
perché. Il processo va sotto il nome
tecnico, poco elegante, di disintermediazione che, tradotto in soldoni e
trasferito dal mondo commerciale alla politica, significa agire senza prima
consultare né mediare né ricorrere ad ambasciatori. Ignorando, insomma, chi
rappresenta interessi, convoglia consensi, parla a nome di altri. Già, ma
perché? In principio fu la Cgil di Susanna Camusso, sfacciatamente ignorata e
sostituita da ammiccamenti – poi scomparsi anche questi – con Maurizio Landini:
non l’apparato, ma la categoria; non la star, ma il combattimento in trincea. D
allora lo schema si è ripetuto sempre uguale e senza cambi di rotta: meglio un
incontro con gli imprenditori di Treviso che il red carpet all’assemblea della
Confindustria; più utile rivolgersi direttamente agli italiani da ospite da
Fabio Fazio o Barbara D’Urso che discutere con manager ed economisti tra gli
stucchi del rituale forum lobbistico-mediativo di Cernobbio. E poi niente via
vai di poteri forti a Palazzo Chigi, off limits in era renziana per Banca
d’Italia, Csm, poteri bancari e imprenditoriali , tutti vanamente ansiosi di
incontrare il premier. Perfino i ministri faticano a parlare con lui che
preferisce affidare le loro proposte al vaglio accorto del suo cerchio magico.
E poi decidere. Da solo. Fin Qui, Però, siamo
ancora nell’ambito di un “decisionismo” che, disinvoltura televisiva a parte,
rimanda più a Craxi che a Berlusconi. Ma
Renzi applica oralo stesso principio anche nel dibattito interno al suo stesso
partito, il Pd, dove i capicorrente non
allineati non possono più sperare in mediazioni o concessioni; e nello scontro
con le Regioni accusate di sprechi e sottoposte a un taglio drastico e lineare
di finanziamenti che manco Temonti,. Allora il metodo appare per quel che è:
un’ arma formidabile nella guerra del premier per la frantumi sanzione di
poteri fino a ieri comprimari e oggi comparse. E la faccenda si colora di
politica perché poi l’unica concertazione teorizzata e sostenuta è, forza del
paradosso, quella che lega il governo a Berlusconi in nome delle riforme e del
dopo Napolitano. Con profluvio di mediatori. Tutto ciò non sembra affatto
casuale. Conquista del Pd e successo alle europee confermano che il quadro
politico è profondamente mutato e i tradizionali bacini elettorali non sono più
gli stessi: destra e sinistra devono ormai rinunciare a facili rendite di
posizione (le partite Iva di qua, gli insegnanti democratici di là) e le scelte
di voto sono ormai libere e mutevoli. I vincoli di bilancio, poi, vanificano
l’arma bipartisan usata finora per ridurre squilibri e garantire consensi: la
spesa pubblica. Una rivoluzione. Che solo Renzi ha compreso a fondo adeguando
linguaggi e contenuti, guardando all’elettorato
moderato e sfondando anche lì dove fino a ieri Bossi e il Cav stravincevano. In
questo rimescolamento di carte è scomparsa anche la sinistra radicale che, come
imbambolata, confida solo in un passo falso. Così, gli unici veri oppositori di
Renzi si annidano nel Pd e nelle Regioni, ultimi baluardi di potere rosso. Oggi
non a caso presi di mira.
E Dunque Mettiamola Così. Se sgomitare serve davvero a snellire, sciogliere,
semplificare, evviva evviva (però, invece di prendere le Regioni per fame e
mandare alla gogna i Governatori, quasi tutti del Pd, ci vorrebbe il coraggio
di rimettere in discussione l’impianto stesso del finto federalismo
all’italiana). E se davvero il patto del Nazareno è utile solo a riforme che
altrimenti non si farebbero per altri trent’anni ancora, va bene. Ma se tutto
questo gran disintermediare è furba tattica (preelettorale?) per sorridere ai
piccoli imprenditori del nord est, affascinare il popolo delle partite Iva e
conquistare le truppe moderate orfane del Cav, e non diventa presto sostanza,
allora proprio non basta. Altrimenti dopo ci tocca ricominciare daccapo. Ancora
una volta.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa
settimana – L’Espresso – 30 ottobre 2014
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