Un modo per entrare in relazione con chi sta perdendo parola
e ricordi. E’ questa la realtà dello shiatsu con pazienti Alzheimer. Confermata
da esperienze come quella presso il Centro Diurno Integrato e Nucleo Alzheimer
della Fondazione Molina onlus di Varese. “Per questi pazienti servono approcci
non cognitivi che permettano di stabilire un contatto in modo nuovo”, osserva
il responsabile del Centro Roberto Benotti. I risultati si vedono: il decorso
della malattia non cambia, ma i pazienti sono meno ansiosi, meno agitati. Certo
bisogna adattare la tecnica alle loro esigenze: c’è chi ha fatto shiatsu da
seduto, o persino camminando. “ E’ stato eccezionale vedere come queste persone
accettassero il trattamento” spiega Donata Dossi, una delle operatrici
coinvolte nel progetto: “Le abbiamo viste contente che qualcuno si occupasse di
loro. Grazie al contatto fisico ma anche
al valore aggiunto dello shiatsu, che in qualche modo lavora a livello
profondo sul sistema nervoso”. Difficile valutarne l’azione ma alcuni di questi
pazienti, durante il trattamento hanno ripreso per breve tempo a comunicare:
“Persone che di solito non parlano ci raccontano di loro o rispondevano alle
nostre domande”, ricorda Dossi. “Rispetto a interventi più convenzionali, lo
shiatsu è una modalità di comunicazione non verbale che permette di entrare in
relazione con questi pazienti bypassando il linguaggio”, spiega la psicologa
Silvia Pinna, che ha seguito un’esperienza analoga all’Istituto San Giovanni di
Dio Fatebenefratelli di Genzano, dove lo shiatsu è stato proposto a pazienti
con demenza in stato avanzato. “Sono malati difficili da avvicinare, a volte
aggressivi, ma abbiamo visto che durante il trattamento riuscivano a
rilassarsi, a volte si addormentavano perfino”. Ritrovando una sorta di
equilibrio che regolarizza i ritmi fisiologici, permettendo anche di ridurre i
farmaci dai al bisogno per calmarli, che si aggiungono a già pesanti terapie
farmacologiche. Tanto che alcune famiglie hanno chiesto di poter proseguire i trattamenti a domicilio.
“Per consolidare i risultati ci vorrebbero più trattamenti e più tempo”,
conclude Benotti: “La nostra idea, infatti, è quella di far seguire una
formazione shiatsu a un operatore interno alla struttura, per offrire regolarmente
questi trattamenti ai ricoverati”.
Paola Emilia Cicerone- Scienze terapie orientali – L’Espresso
– 11 settembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento