L’Italia unita non è mai stata troppo unita. Dalla questione
cattolica a quella meridionale, sono molteplici le fratture che hanno diviso in
due il popolo italiano. Fino al divorzio fra governanti e governati, on i primi
accusati in blocco d’essere una casta, un ceto di rapaci e d’incapaci. Però,
attenzione: sta divampando adesso un’altra lotta intestina, più articolata, più
feroce, e quest’ultima coinvolge esclusivamente i cittadini. Nella società
civile è esplosa la guerra civile. Le prove? Basta rendere l’orecchio alle
reazioni che montano da ogni categoria sociale quando c’è da pagare il conto
della spesa, quando incombe una nuova tassa, una sforbiciata agli stipendi, un
pensionamento anticipato. O altrimenti quando s’annuncia una riforma, per
redistribuire poteri e favori. Giovani contro vecchi. Figli contro genitori.
Disoccupati contro occupati. Inquilini contro proprietari (se denunci il nero,
hai uno sconto sull’affitto). Giudici contro avvocati (chi ci rimetterà con il
nuovo processo?). Imprenditori contro burocrati. Burocrazia comunale contro
burocrazia regionale. Liberi professionisti contro dipendenti. Dipendenti
privati contro quelli pubblici. Impiegati contro dirigenti. Lavoratori contro
pensionati. Pensionati contro tutti.
Non Che In Passato fossero sempre rose e fiori.
L’italiano, si sa ama l’Italia, però detesta gli italiani. E poi siamo pur
sempre un Paese di lobby e camarille, di corporazioni armate fino ai denti per
difendere il proprio territorio. Nell’estate 2008, per dirne una, si consumò
uno scontro fra notai e commercialisti. Oggetto del contendere: un codicillo
inventato dal governo Berlusconi per consentire il passaggio di quote nelle srl
attraverso una scrittura privata, siglata dalle parti con la firma digitale, e
quindi senza timbro notarile. Sicché il Consiglio nazionale del notariato
sferrò il contrattacco con una pubblicità che elencava le insidie della firma
digitale, mentre l’Ordine dei commercialisti risponde con un comunicato per
esaltare le virtù della semplificazione. Ma adesso è un’altra storia. Non
singoli episodi, bensì un Vietnam che fiammeggia in lungo e in largo, senza
tregue, senza prigionieri. Non rivalità fra categorie professionali, piuttosto
un corpo a corpo fra gruppi sociali. Ciascuno
per se stesso, strappando dalle mani del vicino il salvagente mentre la nave
affonda. Sicché quando il governo prospetta una cura dimagrante per chi
percepisce 35oo euro di pensione, tutti d’accordo (tranne i pensionati). Quando
promette d’abolire i segretari comunali, s’alza un respiro di sollievo dal
popolo dei non aboliti. Quando taglia gli stipendi dei dirigenti pubblici,
nessuno (salvo i dirigenti) lo accuserà d’aver tagliato troppo, semmai troppo
poco. In Questa Mischia Fratricida è arduo distinguere i vessilli delle
diverse truppe in armi. Ma è possibile isolare il teatro di battaglia: il ceto
medio. E’ la sua crisi – economica, e forse anche morale – che sta frantumando
quel po’ che ci restava di coesione nazionale. E’ il grumo d’angosce che ti
frulla in capo quando ti senti ricacciato giù nella scala sociale, è lo spettro
d’un futuro ben peggiore del passato che scoperchia il vaso di Pandora degli
egoismi collettivi. Ed è infine questa crisi che può risucchiare dentro un
vortice la stessa democrazia italiana. Perché non c’è democrazia senza ceto
medio, come ci ha spiegato Amartya Sen. O meglio c’è una democrazia apparente,
tal quale in America latina. Con il popolo delle favelas che assedia un
manipolo di ricchi, mentre un governo muscolare tiene in ordine le piazze. C’è
modo d’arrestare la deriva? E che poteri ha il potere esecutivo? Sarebbe già
tanto se la smettesse di seminar zizzania. L’ha fatto Berlusconi, accanendosi
sulle pensioni pubbliche mentre lasciava indenni quelle private. Ma in generale
si può tassare il reddito, non singole categorie contributive. Lo vieta
l’universalità della tassazione, principio scolpito nella Déclaration del 1789.
Se tasso i soli pensionati, è come se decidessi di tassare esclusivamente i
salumieri. E dell’Italia rimarrebbero salsicce.
michele.ainis.@uniroma.3.it - Michele Ainis – L’Espresso -
4 settembre 2014 -
Nessun commento:
Posta un commento