Etichette

lunedì 29 settembre 2014

Lo Sapevate che: Al parto di Katy è Gradito l'Abito Scuro...



Nell’aula della clinica Edith Cavell di Bruxelles, dove l’ostetrico illustrava a coppie in attesa le fasi del parto con filmini e diapositive giganti, un giovane padre stramazzò a terra quando le immagini del momento culminante furono proiettate. Prontamente soccorso dal sanitario, lo stesso venne rianimato e, cortesemente ma fermamente, accompagnato alla porta sotto lo sguardo di invidiosa codardia degli altri maschi e davanti agli occhi imbarazzati della moglie. Quel giovane padre ero io. E di me l’ostetrico si ricordò nel momento di passare dalla lezione alla realtà, quando il mio coraggioso tentativo di entrare in sala parto fu respinto seccamente: “Siamo qui per occuparci di sua moglie e del bambino”, mi informò brusco, “non di un padre che sviene”. Assistetti alla nascita della mia prima bambina dietro un vetro, senza stramazzare. Eppure già quel mio modesto e fallimentare tentativo di partecipazione al lieto evento (ripetuto con eguale insuccesso qualche anno più tardi per il secondo figlio) era stato un salto gigantesco rispetto al passato, ai tempi del padre che passeggiava fuori dalla porta o dalla tenda dell’accampamento assistendo al traffico di donne con catini di acqua calda e asciugamani, aspettando che la levatrice gli porgesse il frutto piangente delle fatiche della madre. Ma era altrettanto lontano dalla trasformazione del parto nello show pubblico che oggi qualcuno organizza. Katy Chatel, di Waschington, ha raccontato come lei abbia scelto di mettere al mondo il figlio Jessey organizzando in casa un “birthing party”, un “parto party”, una festa ad inviti. Attorno al letto e alla levatrice, ma già nelle ore precedenti alla perdita delle acque e all’intensificarsi delle contrazioni, aveva raccolto 24 fra parenti e amici, tanti quanti i suoi anni. Non soltanto spettatori, ma attori nel dramma di una nascita, gli invitati avevano compiti precisi da svolgere, dall’accompagnamento al bagno alla ripresa video di tutte le fasi, dall’incoraggiamento corale alla diffusione di notizie su contrazioni e dilatazione fino al taglio del cordone ombelicale. Le foto e i video diffusi da Katy illustrano un’atmosfera festosa, così gli invitati armati di cappellini di carta, cotillon, trombette e bicchieri di plastica per il brindisi. Quello che manca, nella scena, è il padre di Jessey, un anonimo donatore di seme. E proprio per questo, per surrogare con una folla di amici la presenza del padre e creare colore attorno alla nascita del bambino ( e attorno a se stessa), Katy ha organizzato il parto collettivo a casa sua. “Voglio poter mostrare a Jessey, quando sarà più grande e magari qualcuno gli chiederà dove sia suo padre, che lui è nato circondato dall’amore di tante persone che hanno sacrificato ore delle loro vite per accoglierlo”. Molto raro nei reparti ospedalieri di maternità, dove il personale sanitario ammette per le ultime fasi della nascita il padre della creatura, se lo si trova, se vuole e se non sviene, la madre e al massimo la suocera, il “parto party” è legato all’irrisolvibile dibattito fra le sostenitrici del ricovero in ospedale e le inflessibili fan della nascita in casa. (…). Ma tra il parto naturale nella propria abitazione e lo show organizzato da Katy, tra la fredda e costosa ipertecnologia medico-chirurgica che ormai circonda le puerpere e la semplicità dolorosa della natura, forse ha ragione una ginecologa ostetrica come la dottoressa Sarah Buckley, autrice di ricerche sui benefici e sui rischi delle nascite in casa o in ospedale e sulla moda dei parti per comitive. Nell’avvicinarsi del momento, quando le fu chiesto chi volesse con sé nei momenti decisivi, Sarah rispose con un sorriso: “Voglio solo chi era presente al concepimento, perché veda con i propri occhi le conseguenze di quello che ha fatto”.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 27 settembre 2014-

Nessun commento:

Posta un commento