Sei mesi di governo sono davvero pochi per stilare pagelle.
Ma poiché fin dal suo esordio Renzi ci ha abituato a parole d’ordine brucianti
come tweet, al mito quasi futurista della velocità e a un programma da cento
giorni, anche i tempi del giudizio sulle cose fatte e non fatte necessariamente
si accorciano. La sua sfida inoltre merita attenzione costante perché assai più
alte sono le aspettative alimentate da lui stesso e dalla novità che
rappresenta, e forte è il consenso che raccoglie anche fuori del Pd. Inoltre,
dopo due governi del Presidente, il suo è il primo gabinetto politico del 2011
al quale probabilmente non c’è alternativa (..). E dunque a maggior ragione è
necessario incalzarlo perché non sbagli, non freni, non molli. Così ci siamo
decisi a costruire un’analisi ragionata del primo semestre del Renzi I, senza
la pretesa di entrare nel dettaglio dei tanti provvedimenti annunciati o
varati, ma solo con l’intento di capire se questo Paese stia davvero diventando
un altro, come il premier promette, e soprattutto che cosa questa fase di
rodaggio ci riservi per domani. (..). Il caso ha voluto che la nomina di
Federica Mogherini al coordinamento della politica estera europea,
caparbiamente inseguita e conquistata; il discorso da presidente di turno del
Consiglio d’Europa e il consiglione dei ministri di fine estate che doveva
inaugurare la fase due del suo governo, siano caduti nel momento più nero della
Grande Crisi: pil negativo, giù i consumi, conclamata deflazione. Come se non Bastasse, la trovata del carretto dei gelati nel cortile di Palazzo
Chigi, gesto beffardo contro la copertina del settimanale di unta della perfida
Albione, è suonato per tutti come un inutile scivolone di gusto e di sostanza.
Forse per la prima volta l’intuito comunicativo del premier ha avuto una
defaillance. E alla fine la barchetta dell’Economist” è diventata una barca
molto, molto pesante da trascinare fuori delle secche. E’ in questo frangente
che Renzi rivede la sua agenda, allunga i tempi di leggi e riforme e moltiplica
per dieci i cento giorni del programma. (..). Perché Il Suo Modo Di Essere
e di concepire la politica, quasi d’istinto, non si cambia. Infatti, i cento
giorni erano diventati mille già il 25 giugno nel discorso alla Camera, e
questo non ha certo fermato l’8 agosto successivo il braccio di ferro
(vincente) sulla riforma del Senato. (..). Tutti sembrano convinti che allo
sforzo di Renzi non ci sia alternativa, ma al patto che non devii dalla strada
maestra (Cacciari); che ora adotti le misure economiche che ha messo in secondo
piano rispetto ai ritocchi istituzionali (Boeri); che tenga bene a mente le
conseguenze e i rischi del patto con B. (Scalfari); che non pensi solo alla
Grande Riforma, ma anche alla sua Forma (Ainis).Più che una pagella dunque,
anche un vademecum per il futuro. Aspettando nel frattempo, prima ancora dei
mille giorni, i venti che ci separano dal documento economico e finanziario per
il 2015. Che alla fine ci farà capire quanto profonda sia l’intenzione di Renzi
di cambiare verso.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – 11 settembre
2014 -
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