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martedì 30 settembre 2014

Lo Sapevate Che: Il decreto si vede ma non c'è....



Il buio c’è, ma non si vede. Invece il decreto si vede, ma non c’è. Un gioco illusionistico di cui è maestro il Premier, tanto che l’”annuncite” è diventata un hashtag superpopolare, un tormentone che soffia nei tg, un riferimento d’obbligo negli interventi dei politici (e dello stesso Premier). Ultimo episodio della serie: i due decreti del 29 agosto. Rispettivamente lo Sblocca Italia e la riforma della giustizia, annunciati in conferenza stampa al popolo plaudente. Per verità, l’annuncio risaliva al 1° giugno, quando Renzi – intervenendo a Trento durante il Festival dell’Economia – promise lo Sblocca Italia entro la fine di luglio. Quanto alla giustizia, sarebbe stata in calendario a giugno, stando al cronoprogramma diffuso il 17 febbraio. Invece abbiamo attesa qualche altra settimana: il rinvio dell’annuncio. Poi abbiamo scoperto una nuova categoria giuridica: l’emendamento all’annuncio. E’ successo il 6 settembre, quando il ministro Orlando – alla Festa dell’Unità di Bologna – ha raccontato che il governo stava correggendo il decreto sulla giustizia civile, per attribuire sgravi fiscali a chi scelga forme alternative di giudizio. Peccato che quel decreto non fosse ancora uscito dai cassetti di palazzo Chigi, benché approvato da una settimana. E infatti il Quirinale ha dovuto aspettare un’altra settimana prima di riceverlo, finché il 12 settembre – 15 giorni dopo la delibera del Consiglio dei ministri – li ha firmati entrambi, sia la giustizia sia lo Sblocca Italia. D’Altronde Ormai non conta la sostanza, conta l’apparenza. Non conta il testo, conta il metatesto, il discorso attorno al testo. Durante quel paio di settimane vi si sono esercitati politici e opinionisti d’ogni risma, abbiamo letto analisi seriose e critiche puntute, comunicati sindacali, altolà dei magistrati. Tutto un gran vociare su testi – per l’appunto – inesistenti, giacché un decreto legge nasce con l’emanazione del capo dello Stato e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Discettarne anzitempo è come misurare le fattezze del neonato prima del parto, quando nessuno l’ha ancora visto in faccia. Ma almeno questa non è una novità. La sera del 4 dicembre 2013 la Consulta arrostì il Porcellum, con una sentenza che però venne scritta e depositata più di un mese dopo, il 13 gennaio 2014; nel frattempo diramò un comunicato. E non soltanto la politica, bensì la stessa dottrina giuridica iniziò immediatamente a commentarlo, così inventando un nuovo genere: la nota a comunicato. Che evidentemente ha preso le veci della nota a sentenza, cui un tempo si dedicavano i giuristi. Insomma, Il Diritto si è smaterializzato. La decisione normativa è uscita dal corpo della legge, come l’anima dal corpo di chi muore. Alberga sempre in un fuori, in un altrove. Nei decreti attuativi (ne mancano all’appello 164 sulle riforme del gabinetto Renzi, 320 sul lascito degli altri esecutivi). Nella rete di rimandi, di rinvii a catena (“Il comma 1 della legge 4”), giacchè ormai nessun testo legislativo indica cose né comandi, bensì piuttosto allusioni, evocazioni. Nella parola degli interpreti, cui spetta tradurre in italiano l’ostrogoto del legislatore . Infine nella parola dei politici, che è sempre una e trina, come la divinità. I due decreti fantasma vennero approvati a fine agosto “salvo intese” dal Consiglio dei ministri, secondo una prassi che annovera vari precedenti (per esempio il decreto sulla P.A., deliberato il 13 giugno e tenuto in quarantena per altri 11 giorni). Ma se manca l’intesa, dov’è la decisione?. E dov’è la Costituzione? L’art. 77 impone che ogni decreto venga presentato “il giorno stesso” al Parlamento per la sua conversione in legge; sarà evaporato anch’esso, insieme ai falsi annunci del governo. Sennonchè tali vicende non fanno violenza soltanto all’orologio. Offendono altresì la trasparenza, dato che nessuno può ascoltare i conciliaboli che precedono la vera decisione, i traffici sottobanco, lo scambio di favori. La forma è garanzia di libertà, diceva Calamandrei. Giusto, ma è anche garanzia di verità.
michele.ainis@uniroma3.it – Legge e libertà – L’Espresso – 25 settembre 2014

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