Caro Serra, sono
laureata in architettura da 34 anni, ho per scelta privilegiato la famiglia
alla possibilità di avere uno studio professionale, sono una libera
professionista trattata come stipendiata mensile sottopagata. So di essere in buona compagnia perché la massa di
“false partite Iva” è grande: avvocati, ingegneri, dottori che nessuno (parlo
dei sindacati) tutela e difende anche perché nell’opinione pubblica la libera
professione è vista come ricchezza, evasione, elusione. Ho elaborato una
simulazione di calcolo della mia futura pensione (tra cinque o otto anni) e il risultato
porta a 350 o 420 euro mensili. Secondo gli esperti di economia, dovrei
considerare la mia situazione sulla soglia della povertà. Cosa che rinnego con
forza perché ritengo di vivere dignitosamente. Quando si parla di “soglia della
povertà dovremmo anche interrogarci su quante cose compriamo, cose che il
martellamento pubblicitario ci costringe a ritenere indispensabili per avviarci
a stili di vita scorretti anche dal punto di vista ecologico. Il 19 agosto
l’Earth Over-shoot Day: dopo quel giorno siamo in debito di materie prime
rinnovabili. Quando si insiste sulla necessità di crescita si dovrebbe tenerne
conto. Si deve e si può vivere con molto meno di quello di cui ci circondiamo
oggi!
Milla Cattadori
Gentile Mila, di solito chi invita a costumi di vita più
sobri ha la pancia piena: è dunque molto facilitato nelle sue virtuose scelte
di crescita. Ho almeno un paio di amici che conducono vite austerissime, e
molto ecocompatibili, però in sontuose magioni di famiglia e rassicurati da
conti in banca poderosi. La sua lettera colpisce perché arriva da una persona
con reddito medio-basso; che però rifiuta orgogliosamente la definizione di
“povera” e medita, piuttosto, di liberarsi del superfluo e di ribellarsi ai
consumi inutili. Due considerazioni. La prima: sono totalmente d’accordo sulla
necessità di riconsiderare radicalmente la nostra maniera di vivere. Aggiungo,
però, che non mi riesce affatto facile capire che cosa, per me, è di primaria
importanza, che cosa invece è scialo, “bisogno indotto”, riflesso del
conformismo consumista. E’ un bel gioco da fare con gli amici: provare a dire,
a turno, di che cosa faremmo ameno, di che cosa al contrario non saremmo mai
disposti a privarci. Ne risulta, in genere, che non c’è accordo sulla
graduatoria dell’indispensabile. Ognuno ha la sua scala di bisogni e di
passioni, e di fronte all’universo dei consumi siamo – come dire - piuttosto disarmati, e in balia di pulsioni
non sempre controllabili. Farei a meno, per esempio, di quasi tutti i vestiti
in mio possesso, non per francescanismo ma per scarsa attitudine al cosiddetto
look. Ma se mi levassero la possibilità di quel paio di buoni ristoranti al
mese, con buoni amici e buone bottiglie, mi sentirei deprivato di un pezzo
sostanziale di me stesso. Per altri vale in contrario. Seconda considerazione:
l’idea – salutare – di consumare di meno equivale a una sorta di diserzione sociale.
Il non-consumatore è visto con obbrobrio come una specie di nemico pubblico.
Dire “i consumi sono in calo” e abbandonarsi alla disperazione è, in politica e
nel mondo mediatico, tutt’uno. Eppure, da qualche parte bisognerà pure
cominciare. Oggi i fautori della sobrietà.
Michele Serra – Il Venerdì di Repubblica – 5 Settembre 2014
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