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martedì 16 settembre 2014

Lo Sapevate Che: Obbligati a consumare: un pò anche per questo ci sentiamo tanto poveri...



Caro Serra, sono laureata in architettura da 34 anni, ho per scelta privilegiato la famiglia alla possibilità di avere uno studio professionale, sono una libera professionista trattata come stipendiata mensile sottopagata. So di essere in buona compagnia perché la massa di “false partite Iva” è grande: avvocati, ingegneri, dottori che nessuno (parlo dei sindacati) tutela e difende anche perché nell’opinione pubblica la libera professione è vista come ricchezza, evasione, elusione. Ho elaborato una simulazione di calcolo della mia futura pensione (tra cinque o otto anni) e il risultato porta a 350 o 420 euro mensili. Secondo gli esperti di economia, dovrei considerare la mia situazione sulla soglia della povertà. Cosa che rinnego con forza perché ritengo di vivere dignitosamente. Quando si parla di “soglia della povertà dovremmo anche interrogarci su quante cose compriamo, cose che il martellamento pubblicitario ci costringe a ritenere indispensabili per avviarci a stili di vita scorretti anche dal punto di vista ecologico. Il 19 agosto l’Earth Over-shoot Day: dopo quel giorno siamo in debito di materie prime rinnovabili. Quando si insiste sulla necessità di crescita si dovrebbe tenerne conto. Si deve e si può vivere con molto meno di quello di cui ci circondiamo oggi!
Milla Cattadori
Gentile Mila, di solito chi invita a costumi di vita più sobri ha la pancia piena: è dunque molto facilitato nelle sue virtuose scelte di crescita. Ho almeno un paio di amici che conducono vite austerissime, e molto ecocompatibili, però in sontuose magioni di famiglia e rassicurati da conti in banca poderosi. La sua lettera colpisce perché arriva da una persona con reddito medio-basso; che però rifiuta orgogliosamente la definizione di “povera” e medita, piuttosto, di liberarsi del superfluo e di ribellarsi ai consumi inutili. Due considerazioni. La prima: sono totalmente d’accordo sulla necessità di riconsiderare radicalmente la nostra maniera di vivere. Aggiungo, però, che non mi riesce affatto facile capire che cosa, per me, è di primaria importanza, che cosa invece è scialo, “bisogno indotto”, riflesso del conformismo consumista. E’ un bel gioco da fare con gli amici: provare a dire, a turno, di che cosa faremmo ameno, di che cosa al contrario non saremmo mai disposti a privarci. Ne risulta, in genere, che non c’è accordo sulla graduatoria dell’indispensabile. Ognuno ha la sua scala di bisogni e di passioni, e di fronte all’universo dei consumi siamo – come dire -  piuttosto disarmati, e in balia di pulsioni non sempre controllabili. Farei a meno, per esempio, di quasi tutti i vestiti in mio possesso, non per francescanismo ma per scarsa attitudine al cosiddetto look. Ma se mi levassero la possibilità di quel paio di buoni ristoranti al mese, con buoni amici e buone bottiglie, mi sentirei deprivato di un pezzo sostanziale di me stesso. Per altri vale in contrario. Seconda considerazione: l’idea – salutare – di consumare di meno equivale a una sorta di diserzione sociale. Il non-consumatore è visto con obbrobrio come una specie di nemico pubblico. Dire “i consumi sono in calo” e abbandonarsi alla disperazione è, in politica e nel mondo mediatico, tutt’uno. Eppure, da qualche parte bisognerà pure cominciare. Oggi i fautori della sobrietà.
Michele Serra – Il Venerdì di Repubblica – 5 Settembre 2014

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