La rottamazione in
politica è molto popolare. Un giorno si vedrà se è stata anche utile al Paese.
La rottamazione industriale fu invece una scelta rovinosa, che ha portato alla
fine della gloriosa industria dell’auto in Italia. E’ un paradosso sul quale vale la pena di riflettere. La
crisi dell’auto italiano comincia negli anni Ottanta, quando la concorrenza
soprattutto tedesca, con l’aiuto dei governi, prende a investire cifre
colossali in nuovi modelli tecnologici ed esteticamente molto attraenti –
spesso disegnati da italiani – e la Fiat risponde con la Duna. A quel punto è
chiaro che l’avvento dell’elettronica ha sconvolto il mercato dell’auto e che
l’industria nazionale, quindi in pratica la sola Fiat, avrebbe bisogno di
essere sostenuta da una lungimirante politica industriale per affrontare le
nuove sfide. I vituperati sindacati metalmeccanici segnalano che occorrerebbe
un’azione dei governi in favore di ricerca, formazione dei lavoratori, collegamento
fra industria e università, insomma la creazione di un nuovo sistema dell’auto.
La risposta dei governi, di destra e di sinistra, si esaurisce negli incentivi alla
rottamazione delle vecchie auto. La rottamazione non serve a rilanciare
l’industria dell’auto, ma soltanto a nasconderne la crisi drogando per un po’
il mercato. Però piace a molti. Piace a Cesare Romiti, che di mestiere fa il
lobbista parlamentare più che l’amministratore delegato Fiat. Piace ai
consumatori e dunque ai politici. Piace al punto da diventare , vent’anni più
tardi, lo slogan principe della nuova stagione politica. Nel giro di pochi anni
i Paesi che hanno investito su formazione, ricerca e università, come la
Germania, conquistano gigantesche quote di mercato. Quelli che hanno buttato
miliardi nella rottamazione, le perdono. Per giustificarsi, i governi e la
prendono con i sindacati metalmeccanici (molto meno ascoltati dell’Ig Metall),
con gli stipendi degli operai (la metà della Germania) e con l’immancabile
articolo 18. Quando esplode il prezzo del petrolio, per effetto delle guerre in
Medio Oriente, la Fiat è l’unico grande gruppo mondiale a non aver avviato un
programma di bassi consumi e motori ibridi. Oggi l’ha allestito, grazie agli
incentivi del governo Obama in cambio del salvataggio Chrisler. Per un altro
grottesco paradosso, il Politecnico di Torino è un importante centro studi sui
motori ibridi, ma finanziato dall’industria americana. I migliori ingegneri del
resto da anni prendono la strada dell’estero. Questa è una fra le tante storie
del declino italiano. Il risultato è che in Italia oggi si producono meno
veicoli che in Slovacchia. E “rottamazione” è uno slogan di enorme successo.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 5
settembre 2014 -
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