Mi ha colpito qualche tempo fa un tweet di Alessia Morani,
responsabile giustizia del Pd. Dopo un voto in Consiglio dei Ministri, esultava
per una presunta approvazione della riforma della giustizia, parlando di “promessa
mantenuta”. Per gli standard italiani con i suoi trentotto anni Morani è
giovane, il che giustifica il suo curriculum quasi inesistente. Per gli
standard europei, invece, giovane non lo è affatto e la mancanza di titoli
oltre la laurea in giurisprudenza – molti ritengono che sia stata catapultata
nel ruolo -, forse aiuta a comprendere qualcosa in più della retorica del “ci
penso io” abusata da Berlusconi e che purtroppo sembra appartenere anche a
Renzi. Quella fretta immotivata nel dare per conclusi percorsi riformatori, che
magari non sono neanche iniziati, induce a pensare che la responsabile
giustizia del Pd è forse un semplice specchietto per le allodole. E questo
riguarda a maggior ragione una riforma tanto complessa come quella della giustizia.
Difficile Una Riforma da comunicare, difficile da spiegare
in poche parole, che di fatto ha ricadute pesantissime sulla vita di tutti. Un
terreno minato da venti anni di conflitto di interessi berlusconiano, da
promesse di mutamenti strutturali che altro non erano che esche per attirare
l’attenzione dei media, mentre nelle segrete stanze – con la utile cooperazione
anche dell’attuale ministro degli Interni, all’epoca Guardasigilli – si
approvavano i papocchi ad personam destinati a essere poi invalidati dalla
Corte Costituzionale. Leggere dunque di promessa mantenuta, dopo una semplice
approvazione in Consiglio dei Ministri, fa pensare che dal pantano non usciremo
mai. Ad oggi, non sono affatto chiari i contenuti di una riforma che si
preannuncia articolata, riguardando sia il processo civile che quello penale.
Ma emerge con forza la duplice anima di questo intervento legislativo: in
ambito civile il tentativo di abbattere il contenzioso privatizzando la
giurisdizione; in ambito penale la lotta alle lungaggini del processo pare
appuntarsi sulla prescrizione del reato (e ormai consunto) elastico del
sistema. Quando si parla di prescrizione nel procedimento penale non si può
però non considerare che ben tre quarti dei procedimenti si prescrivono prima
del giudizio, nel corso delle indagini preliminari. In riferimento a questi
“processi mai nati” – tradimento del principio di obbligatorietà dell’azione
penale- il legislatore non dice nulla: dunque parlare di riforma della
prescrizione per rendere più efficace il processo penale finisce per essere una
mera petizione di principio. Sembra una riforma che ancora una volta si affanna
a mutare la posizione degli addendi nella speranza vana che la somma cambi.
(…). Una riforma, senza le necessarie dotazioni economiche, può essere un
fattore di inefficienza ancora maggiore, intervenendo in maniera nefasta su
equilibri, magari precari ma esistenti, consolidatisi nel tempo. Perché invece
una riforma abbia effetti, le risorse necessarie devono essere recuperate
razionalizzando la spesa pubblica dove crea inefficienze. Basterebbe guardarsi
attorno per individuare le centrali dello spreco: è lì che bisogna intervenire
per salvare la possibilità di cambiamento di questo Paese.
Roberto Saviano – L’antitaliano – L’Espresso – 11 settembre
2014 -
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