Mi piacerebbe che affrontasse nella sua rubrica il seguente
argomento: quanto l’aspetto fisico delle persone (delle donne in particolare)
influisce sulla vita sessuale? Mi spiego: se la natura non è stata molto
generosa nel concederti un aspetto attraente, che aspettative di conquista ti
rimangono? Non mi dica la simpatia. E’ ragionevole supporre, guardando persone
oggettivamente poco attraenti, che avranno poche esperienze rispetto ai belli?
Ovvio che la questione è ben più complicata. E se questa è la trama, vorrei che
lei ricamasse…
Lettera firmata
La bellezza conta moltissimo. Inutile negarlo. E siccome la
natura non fa gli stessi doni a tutti, chi non è bello non è favorito come chi
è bello. Ma anche chi non è intelligente è meno favorito, anche se, a causa
della sua scarsa intelligenza, non se ne accorge, o addirittura se ne vanta,
ritenendosi più concreto di chi pensa. Ma soprattutto, sulla bellezza non si
può fare un discorso generale, perché la bellezza è quanto di più soggettivo si
possa incontrare. Per questo Tommaso d’Aquino scrive: “bello è ciò che, quando
lo vedi, ti piace (pulcherun est quod
visum placet)”. E tutti sappiamo che sui gusti c’è poco da discutere (de gustibus non est disputandum). Ogni cultura
esprime la bellezza in termini così eterogenei che basta lasciare i confini
della propria razza per non disporre più di un valido criterio di bellezza.
Alla cultura si aggiunge la moda che, di epoca in epoca quando non di stagione
in stagione, modifica a tal punto i modelli di bellezza che ciò che un tempo
incantava, oggi più non attrae e lascia indifferenti. Se poi, come lei
giustamente osserva, che bellezza è connessa la sessualità, possiamo renderci
conto come anche quest’ultima sia condizionata dai modelli estetici diffusi.
C’è un’ambiguità, nella bellezza, che può attrarre così come può anche
respingere. Attrae quando, come dice Thomas Mann, “la bellezza ci trafigge
(durchstecht)”, colpendoci senza che noi la si sia cercata. Questa è anche la
ragione per cui Kant definisce “bello ciò che piace senza concetto e senza
scopo”. Infatti, per cogliere la bellezza non abbiamo bisogno di mediazioni
concettuali e neppure di renderla funzionale a uno scopo, perché la bellezza è
“inutile”. (…).Ma proprio qui sta anche la sua ambiguità, perché oltre che
attrarre può anche respingere, quando, ad esempio, ostenta la figura femminile
con tutti gli accessori e gli stereotipi di cui la moda è capace, fino a
renderla inaccessibile, come una pietra preziosa dietro un vetro blindato di
una gioielleria e, in questa preziosa esposizione, assolutamente
irraggiungibile. Tutti conosciamo donne e uomini che si rifugiano nella
consapevolezza della loro bellezza, che li avvolge più di quanto non faccia
l’indifferenza glaciale del loro sguardo. Queste bellezze diventano poi modello
di milioni di imitatrici e imitatori, che più non sanno se devono mangiare o
non mangiare, accrescersi o ridursi il seno, esercitarsi per scolpire bicipiti
e addominali, dipingersi la faccia o intonacarla, nel tentativo di raggiungere
quell’idea di bellezza che i modelli sociali diffondono, e che nella sua
costruzione artificiale cancella irrimediabilmente le ultime tracce di una
possibile bellezza esistenziale. Ma per cogliere la bellezza di un’esistenza
non bastano le fattezze del corpo, perché queste si modificano in base allo
stile della nostra vita. Ci sono esistenze che non esprimono nulla perché
assopite nella bellezza avuta in dono dalla natura, così come ci sono esistenze
piene di forza di vita che affascinano per quanto sanno esprimere a
compensazione di una bellezza che per natura non hanno avuto. E queste cose le
capiamo solo se non limitiamo la bellezza alle semplici fattezze del corpo che
il tempo inesorabilmente consuma e appassisce. La bellezza infatti è tale solo
se trascende se stessa e rinvia a qualcosa di segreto al di là della forma,
qualcosa di inafferrabile a prima vista che stimola la nostra curiosità e la
nostra ricerca al di là dell’apparenza.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 27 settembre 2014 -
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