Abituati nei decenni della lira a leggera nella continua
scalata dei prezzi il sintomo peggiore della febbre domestica, molti italiani
stentano ancora a comprendere quali conseguenze rovinose possa avere
un’inflazione prossima allo zero o addirittura negativa. (..). Cosicché oggi
che il temuto spettro della deflazione è diventato una realtà palese in Italia
e in larga parte dell’Unione sia le opinioni pubbliche sia i governi nazionali
e le istituzioni comunitarie non danno grandi segni di consapevolezza dei
pericoli incombenti. Le fasi di caduta dei prezzi, infatti, comportano effetti
depressivi potenti e talora più difficilmente gestibili dei processi di
inflazione galoppante. In particolare, perché ne vengono colpiti i due principali
fattori di sostegno delle attività economiche. (..) E in parallelo gli
investimenti: giacché chi potrebbe effettuarne è doppiamente scoraggiato dalla
frenata della domanda e dal timore di vedere i suoi margini di guadagno
azzerati dalla progressiva caduta dei realizzi. L’Aspetto Più Insidioso di questa rincorsa fra minori
consumi e minori investimenti è che essa innesca una spirale regressiva su
tempi lenti e lunghi. Al contrario delle fiammate inflazionistiche che generano
immediato allarme politico e sociale, il morbo deflazionistico appartiene a
quel genere di tumori che si autoalimentano senza dare manifestazioni clamorose
fino a quando esplodono in tutta la loro potenza distruttiva. Un’istituzione
europea particolarmente sotto pressione su questo punto è la Bce. Il cui
presidente, Mario Draghi, ha detto di essere pronto a fare tutto il necessario
per riportare il tasso d’inflazione a sfiorare almeno il fatidico tetto del due
per cento. La cosa più probabile è che intenda farlo con nuove massicce
iniezioni di liquidità verso il sistema bancario. Meglio che niente, s’intende.
Ma basterà? E’ se le banche poi continueranno a impegnare quei soldi
nell’acquisto di titoli di Stato? Sì, forse, potrà rallegrarsene qualche
contabile di casse erariali. Ma gli
effetti sulle dinamiche dei prezzi, quindi su consumi e investimenti, rischiano
di essere marginali ovvero imbelli contro la deflazione.
Quel Che Serve Oggi all’economia europea è una svolta
radicale di strategia mirata a perseguire la sostenibilità delle finanze
pubbliche attraverso il rilancio di consumi e investimenti. Ecco, semmai, un
terreno decisivo su cui operare quelle “cessioni di sovranità” che lo stesso
Draghi sollecita per consolidare l’unione monetaria. Ci vuole altro che
negoziare flessibilità e “sconti” di qualche decimale sui parametri scolpiti
nella pietra dei trattati europei, ben altro anche dei 300 miliardi
vagheggianti da Jean-Claude Juncker per ringraziarsi la nomina a presidente
della Commissione di Bruxelles. Di mezze misure si può solo morire si può solo morire più lentamente. Ma qui
siamo anche al nodo cruciale delle attuali difficoltà. Si rassegnino gli ottusi
fautori del rigore contabile a qualunque prezzo: la loro cura della lesina è
servita solo a far peggiorare le condizioni del paziente e a rendere tardive e
inutilmente più costose le medicine. Un’efficace azione di rilancio
dell’economia continentale postula, quindi, il rapido abbandono della politica
seguita finora ai vertici dell’Unione.
Massimo Riva – Avviso ai naviganti – L’Espresso – 28 agosto
2014
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