Ho ritrovato, rovistando nel computer, due Bustine che avevo
scritto a metà degli anni Ottanta, e in cui parlavo della misteriosa tribù dei
Bonga Bonga. Era un modo di citare alcune abitudini che stavano prendendo piede
da noi, ma che ci facevano apparire come una comunità primitiva. L’argomento
della seconda Bustina era l’applauso. Raccontavo che nei tempi antichi i Bonga
applaudivano per due ragioni: o perché erano contenti di un bello spettacolo, o
perché volevano onorare una persona di gran merito.(..). Anche Il Pubblico A Casa aveva iniziato a desiderare di poter applaudire, e torme di
Bonga si presentavano ormai volontariamente negli auditori televisivi, disposti
a pagare per poter battere le mani, ed era stato lo stesso presentatore a dire
ad alta voce, nei momenti giusti: “E ora un bell’applauso”. Ma ben presto gli
spettatori in sala avevano incominciato ad applaudire senza che il presentatore
li esortasse. Bastava che egli interrogasse un astante chiedendogli che
mestiere facesse, che quello rispondesse “Curo la camera a gas del canile
municipale”, e tutti esplodevano in una fragorosa ovazione.(..). L’applauso era
così divenuto indispensabile, altrimenti il programma sarebbe apparso
artefatto, e gli spettatori avrebbero cambiato canale. I Bonga chiedevano che
la televisione mostrasse la vita vera, così come è, senza finzioni, e la vita
vera era ormai identificata con persone che applaudivano. Per sentirsi ancorati
alla vita i Bonga avevano poi iniziato ad applaudire sempre, anche fuori della
televisione. Applaudivano ai funerali, e non perché fossero contenti né per far
piacere al defunto, ma per non sentirsi ombre tra le ombre, per sentirsi vivi e
reali, come le immagini che si vedono sul teleschermo. Un giorno (raccontavo)
ero in una casa ed era entrato un parente che aveva detto: “Poco fa la nonna è
stata stritolata da un Tir!”. Tutti si erano alzati in piedi e avevano battuto
le mani. Questa la mia storia di allora. Nonna a parte, mi pare che in questi
trent’anni l’uso dell’applauso si sia sempre più diffuso. Mi veniva in mente
l’altra sera quando seguivo un programma molto simpatico, “Reazione a catena”,
diretto da Amadeus. Si confrontano due squadre di tre persone ciascuna, che
tentano di indovinare delle parole, e mi pare logico che una squadra applauda
quando un suo membro indovina. Ma applaudono anche quando indovina un
avversario. E applaude a se stesso anche chi ha indovinato. E tutta la squadra
applaude quando ha sbagliato e rischia l’esclusione. E tutti applaudono quando
Amadeus annuncia che si passa da un gioco a un altro. Però Non Si Capisce perché ormai si applaude anche ai funerali delle vittime della mafia.
Per manifestare la nostra contentezza o per fare un inchino agli assassini?
Forse per dignità e rispetto dovremmo smettere di applaudire quando il
presidente della Repubblica depone una corona davanti alla tomba del Milite
Ignoto.
Umberto Eco – La bustina di Minerva – L’Espresso – 28 agosto
2014 -
Nessun commento:
Posta un commento