Così la Germania può salvarci
Occorre che i paesi
virtuosi abbiano il coraggio di aumentare la spesa pubblica, anche sforando dai
parametri di Maastricht. Solo una vera svolta nella politica economica può far
ripartire la crescita in Europa
Nessun cambio nella politica economica europea. Questa è la
brutta notizia dopo i vertici di fine giugno e Ypres. L’Europa, o meglio i
governi europei, restano sordi al risultato delle elezioni che di fatto ha
bocciato la politica fin qui seguita: Si è finto di accettare la novità della
designazione a Presidente della Commissione da parte della maggior forza
politica nel nuovo Parlamento Europeo, nominando il lussemburghese Juncker, ma
il Partito popolare (che lo ha designato) non ha la maggioranza dei voti e
quindi non rappresenta la volontà del nuovo Parlamento.(…)
Una Maggiore Flessibilità può servire a qualche paese, come
il nostro, per evitare di dover varare a breve nuove manovre politicamente
pericolose, ma difficilmente sarebbe servita ad avviare una nuova fase di
ripresa in Europa. Serve invece una diversa politica economica che generi
crescita e non si preoccupi troppo dell’inflazione. Per farlo occorre innanzi
tutto che i paesi in equilibrio, come la Germania, spingano molto sulla loro
domanda interna attraverso maaggiore spesa pubblica, un aumento dei salari e
minori tasse sulle famiglie, anche a costo di superare i parametri di
stabilità. (…).
Si tratta poi di avviare una vera politica economica europea
che non sia solo la banale somma delle politiche dei singoli paesi. Tale
politica dovrebbe riguardare il rilancio delle infrastrutture europee e un
piano di contrasto alla disoccupazione giovanile.(…).
Infine Occorre Completare l’unione monetaria operando in modo
da abbattere permanentemente lo spread fra i tassi di interesse dei diversi
paesi. (…). Per favorire un abbattimento dello spread e per creare spazi di
manovra nei bilanci pubblici, occorre accelerare sull’unione bancaria e
reinterpretare il fiscal compact, operando una messa in comune di parte dei
debiti pubblici sui quali vengano corrisposti tassi di interesse in linea con
il mercato europeo e con la politica della Bce. Una proposta in tal senso è
stata avanzata da Vincenzo Visco (poi ripresa anche in sede europea) che indica
nella quota pari al 60 per cento del debito sul Pil l’ammontare di debito
pubblico da mettere in comune, lasciando ai paesi il compito di gestire
l’eccedente.
Una politica economica europea è quello che serve per far
uscire definitivamente l’Europa dalle secche della deflazione. Ed è quello che
serve anche per generare una coscienza europea e un senso di appartenenza che
nelle ultime elezioni è apparso molto debole se non inesistente. Ma i governi
europei sono rimasti sordi e attenti solo alle proprie basi elettorali.
Peccato, è stata sprecata un’occasione che non è certo si riprodurrà nei
prossimi mesi.
Innocenzo Cipolletta – L’Espresso – 10 luglio 2014 –
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