La parola a un
professore di sociologia dei Media Digitali
Ogni mattina la “preghiera laica” di Giovanni Boccia Artieri,
professore di Sociologia dei media digitali all’Università di Urbino Carlo Bo,
è quella di aprire Twitter: “Sui social network leggo le news e elezioni i
fatti del giorno”. Spiega che “le app hanno cambiato la nostra vita”. Ma,
ammette, “come tante altre cose possono creare dipendenza e micro ossessioni
quotidiane”.
Lei quali app
preferisce professore?
“Intanto quelle legate alla socialità di base, da Twitter a
Facebook. Poi, prima di andare a lavoro guardo spesso app sul meteo, quando
sono in giro seguo TripAdvisor, per tenermi aggiornato uso programmi aggrego
tori di informazioni come Feedly o Pocket”.
Perché non possiamo più
farne a meno?
“Le app hanno cambiato la nostra vita da diversi punti di
vista. La riempiono: possiamo leggere mentre facciamo la fila in banca o
guardare una notifica stando a cena con gli amici. Siamo collegati ad altre
persone anche in mobilità e possiamo avere informazioni sul territorio. I
costumi sociali cambiano e c’è sempre meno distinzione tra dentro e fuori la
rete. Lo smartphone, poi, è come un coltellino svizzero: può diventare una
torcia, sostituire un termometro, essere usato per misurare la pressione. Aiuta
a organizzare meglio il nostro tempo e a volte anticipa i bisogni”.
Rischiamo di diventare
schiavi?
“Possiamo diventarne schiavi, come succede con tante altre
cose. Noi esseri umani tendiamo a essere routinari, e ci sono app che possono
renderci dipendenti, farci sviluppare delle psicopatologie quotidiane, delle
micro-ossessioni”.
Qualche istruzioni per
l’uso?
“Dovremmo cambiare periodicamente le app che utilizziamo, per
non diventare degli automi. Magari ne troviamo altre che soddisfano un bisogno
più delle precedenti. Non bisogna entrare nella routine. E inoltre bisogna
studiare le app, imparare a conoscerle: ci aiutano, ma non devono produrre per
forza un comportamento”.
Rosario Di Raimondo – Venerdì di Repubblica – 18 luglio 2014
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