Un capo deciso a
conquistare il potere. E a mantenerlo sfruttando le sue capacità di seduzione.
Ecco cosa è sempre piaciuto a noi italiani. Che invece non abbiamo mai amato lo
Stato
(..). Dunque parliamo dell’Europa e dell’immediato dopoguerra,
quando il nostro continente era ancora un ammasso di rovine materiali e anche
civili: ciascuno non aveva il tempo né la voglia di occuparsi di questioni
collettive a meno che non incidessero direttamente sulla propria condizione
sociale, della propria famiglia e ciò che di essa restava.
In Europa del resto non c’era un vincitore: eravamo tutti
perdenti, la prima dei quali era la Germania e poi la Grecia, l’Italia, i Paesi
Bassi, gli scandinavi, i polacchi, i serbi. Tutti sconfitti salvo la Gran Bretagna
e gli Usa. La Russia era sotto il dominio di Stalin, in Francia aveva vinto De
Gaulle e la sua testarda volontà di non cedere al nemico nazista, ma altro non
c’era. In qualche paese (Italia settentrionale compresa) c’erano stati
importanti movimenti di resistenza partigiana, ma si trattava pur sempre di
minoranze e per di più profondamente divise tra loro.
Questo Il Quadro. Quanto ai partiti, c’erano le
cosiddette masse, ideologizzate dai miti del comunismo e dell’anticomunismo e
dirette di fatto da piccole élite e tra di esse, anzi alla loro testa, un
leader che rappresentava le forze politiche rivoluzionarie o conservatrici. (…)
Un punto mi preme sottolineare: la vera classe dirigente
politica era di numero limitatissimo che si riassumeva in un leader. Uno solo,
indiscutibile. I dibattiti fervevano all’interno d’uno sparuto gruppo
dirigente, ma chi alla fine decideva non era un gruppo ma una persona, una
sola. Gli altri seguivano anche se conservavano in cuore le loro riserve. La
massa ripeteva slogan e credeva nella loro verità.
In Italia Questo
Fenomeno era
addirittura più presente che altrove poiché le sue radici erano molto antiche.
Gli italiani non hanno mai amato lo Stato, l’hanno sempre considerato – prima e
dopo l’Unità – un elemento estraneo e spesso addirittura nemico, da ingannare,
da frodare, privilegiando il “fai-da-te” che in certe condizioni può essere una
forza dell’individuo consapevole ma in altre (le più frequenti) una debolezza
estrema dalla quale nascono clientele e addirittura mafie e camorre, Stati
nello Stato, con propri codici di comportamento e finalità delinquenziali.
Al di là di questi fenomeni di malaffare e malavita, l’Italia
è sempre stata dominata dal populismo: un capo capace e deciso a conquistare il
potere, mantenerlo, rafforzarlo, basando quella conquista sulle sue capacità di
seduzione. (..).
Per fortuna non sempre è così, ma questo è il connotato
italiano più appariscente. Ogni generazione nella sua parte consapevole si è
trovata a combattere questo fenomeno. Talvolta con successo ma più spesso
uscendo sconfitta dal confronto. Oggi siamo ancora una volta coinvolti in
questa tenzone. Bisogna distinguere, bisogna utilizzare il male facendone
uscire il bene che contiene. Bisogna sperare e noi infatti speriamo.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 24 luglio 2014
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