Tra Scilla e Selfie
“Se l’Europa si facesse un selfie…”. Così il gergo disinvolto
e aggiornato del premier italiano ha raggiunto la più solenne sede continentale
e ha, come prima mossa, imposto all’attenzione di tutti il format più pervasivo
del momento. Il Selfie, appunto: la versione smart ed epidemica del buon
vecchio autoscatto fotografico. Dai campionati mondiali agli incidenti
stradali, da una pausa affettuosa col proprio eclettico telefono e fare clic.
Nel caso del premier, però, il selfie non è tanto un’abitudine da smartphone
quanto la forma simbolica di un’intera strategia di immagine. A Renzi i selfie
li fanno gli altri. Si lascia fotografare in Parlamento tenendo “L’arte di
correre” di Murakami in mano assieme al tablet. Pronuncia frasi a effetto come
se le avesse coniate lì per lì. Coglie l’attimo, dopo averlo attentamente
ricostruito. Quello che facciamo artigianalmente con i nostri selfie destinati
ai social network o ai nostri corrispondenti privati è allungare il braccio non
per agire sul mondo ma per autorappresentarci. Renzi non ne ha particolare
bisogno perché già tutte le fotocamere e i microfoni italiani sono puntati su
di lui: ha solo da mettersi in posa, e restarci. Se in Parlamento scrive un
biglietto e lo invia, il biglietto verrà fotografato; se si sporge verso un
ministro o una ministra e dice qualcosa con la mano davanti alla bocca, sa che
l’importante è che la mano che tutti vedranno più delle parole che una sola
persona ascolterà. Manovra bene, cosa che non si può dire di molti, il registro
della doppia platea: si rivolge al Parlamento Europeo ma lo ascolta tutta
Europa. Parla alla direzione del Partito ma anche ai telespettatori che lo
seguono in diretta tv o in streaming. E ogni singola apparizione pubblica è
un’occasione per un canto seduttivo, rivolto a una nave che passa. Chi non ha
tappi di cera per non sentirlo, è legato all’albero. A passare fra Scilla e
Cariddi ci si penserà, prima o poi.
Stefano Bartezzaghi – L’Espresso – 24 luglio 2014 –
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