Due o tre cose da non
rottamare
Sindacati, Rai,
Authority, piccoli partiti. Le riforme rischiano di fare strage anche di alcune
istituzioni indispensabili. Chi invece in Italia sopravvive sempre sono
voltagabbana e trasformisti pronti a salire sul carro del vincitore
Noi italiani siamo fatti così: detestiamo le mezze misure.
Nel dopoguerra edificammo un nuovo Stato, una nuova Costituzione, una nuova
Costituzione, una nuova classe dirigente. Dopo di che per settant’anni abbiamo
celebrato il Gattopardo, praticando la continuità anche quando fingevano
rotture col passato. Dopotutto,la seconda Repubblica si riassume in una
galleria di facce immarcescibili, d’istituzioni inossidabili. Ma adesso è tempo
della rottamazione di tutte le Repubbliche, di tutte le poltrone. E la
rottamazione esprime un’energia vitale: per costruire bisogna prima demolire.
Vale per le cose, vale altresì per le persone. (…)
Ecco, gli eccessi. Matteo Renzi rottama le auto blu, il Cnel,
le Province, gli alti emolumenti degli alti magistrati: giusto. Rottama i
privilegi dei superburocrati: supergiusto. Ma sarebbe viceversa ingiusto fare
tabula rasa di tutto ciò che esiste, trasformando il nostro Stato nel deserto
dei Tartari. (…).
Ma In Questa
Rivoluzione italica
il pensiero negativo non sempre s’accompagna a un pensiero positivo. Prendiamo
il caso del Senato: fonte di ritardi o di paralisi nel processo di formazione
delle leggi, tanto che ormai nessuno ne difende più la doppia lettura. Tuttavia
i bicameralismo paritario, nel bene e nel male, offre pur sempre una garanzia:
quante altre leggi ad personam ci sarebbero cadute sul groppone, senza il veto
del Senato? E non è forse al Senato che s’appella lo stesso Renzi per cassare
gli errori consumati in primo rado, come la norma sulla responsabilità civile
delle toghe votata l’11 giugno dalla Camera? A una garanzia di meno, quindi, in
futuro dovrebbe corrispondere una garanzia di più. Si può ottenere contemplando
maggioranze più elevate per le leggi che comprimono diritti, permettendo
l’accesso delle minoranze parlamentari alla Consulta, rafforzando i poteri di
controllo del capo dello Stato. Ma a quanto pare l’argomento è tabù, vietato
pronunziarlo.
D’Altronde Non E’
L’Unico Caso. I
segretari comunali, per esempio: garantiscono la regolarità amministrativa
degli atti comunali, hanno appena ricevuto pesanti responsabilità sul contrasto
alla corruzione, ma l’idea è quella
d’abolirli. O i prefetti, che in Italia furono introdotti da un decreto
napoleonico del 1802. D’accordo, il governo Letta ne aveva gonfiato i ruoli
come un pallone aerostatico (207 prefetti per 105 prefetture), ma sicuro che ne
bastano 40? O ancora le authority, un altro elemento di garanzia del nostro
sistema: anche in questo caso le 19 esistenti sono troppe, 3 o 4 troppo poche.
E i sindacati, ormai trattati con fastidio? E la Rai? E i piccoli partiti? Nel
gioco dei birilli armato dalla nuova legge elettorale, chi non becca l’8 per
cento rotola giù per terra. Ma il 7 per cento dei consensi è il peso d’un
partito medio, non di un moscerino: con questa soglia elettorale si rischia la
strage degli innocenti. Chi invece in Italia sopravvive ad ogni strage sono i
voltagabbana, i professionisti dello slalom. Gli stessi che accorrono in corteo
per osannare il nuovo Re, da Scelta civica, da Sel, dall’ex maggioranza
bersaniana del Pd. Facci una grazia, Renzi, rottama pure loro. Rottama il
trasformismo insieme allo statalismo. Ma non rottamare lo Stato.
Michele Ainis – L’Espresso – 3 luglio 2014
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