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mercoledì 2 luglio 2014

Lo Sapevate Che: Contromano....




Le grandi opere (con furto) quando servirebbe
un gigantesco rammento

“Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma anche fragile”. Il discorso di
Renzo Piano sulle periferie, proposto ali studenti della maturità, è un
classico esempio di buon senso rivoluzionario. Da molti anni, attraverso
colloqui e interviste, ne discuto con Piano e con i lettori di Repubblica. E’, o dovrebbe essere, ovvio che l’Italia non ha oggi bisogno di grandi opere o eventi inutili (se non ai ladroni) come il Mose, la Tav o l’Expo, ma di un gigantesco rammendo del territorio nazionale, devastato dai condoni edilizi di Berlusconi, dal consumo scellerato di suolo e terreni agricoli, da colate su colate di cemento. Non poche colossali cattedrali tangentizie che costano alla fine decine di miliardi, ma migliaia e migliaia di piccole opere per rendere anzitutto le periferie più vivibili, le montagne e i corsi d’acqua più sicuri, i trasporti più civili, l’aria e il suolo più puliti, la condizione di vita dei cittadini più umana. Sarebbero bastate poche centinaia di milioni investiti a Milano o a Venezia, al posto dei miliardi sprecati in Expo e Mose, per cambiare la faccia delle città e delle periferie, migliorare le esistenze di centinaia di migliaia di persone rinchiuse nei lager dell’hinterland milanese o a Mestre, e al tempo stesso per attrarre visitatori dal mondo, creare posti di lavoro e ottenerne un reale vantaggio economico per tutti.
Assai più reale almeno, di quanto non siano i turisti e i posti di lavoro immaginari sventolati dai progettisti delle grandi truffe. Eppure questo semplice buon senso è sempre rimasto minoritario. Per anni, ogni volta, la reazione prevalente, non solo dei ladroni interessati, ma anche dei semplici lettori, è stata di fastidio: ma come, non volete mai fare niente? Non vedete quant’è bello il Ponte sullo Stretto, la Tav, la grande diga della laguna, quanto lavoro crea, quante opportunità, com’è tutto così moderno? E’ tutta colpa dell’informazione cattiva e corrotta, che crea e diffonde un senso comune favorevole agli interessi del potere? Sarà vero, ma un po’ troppo facile. La verità è che l’Italia, oltre a essere fragile nel corpo, lo è nell’anima, nella psicologia. Una collettività che non si conosce e non si ama nel profondo e cerca di sfuggire al perenne sentimento eterno d’insicurezza con l’aggrapparsi a modelli astratti, esteriori, con la stessa superficialità con la quale da decenni abbocca agli slogan del semplificatore di turno. Fra i tanti studenti che hanno scelto le parole di Renzo Piano, c’è la classe dirigente del futuro. E sono loro la vera speranza di cambiamento.
Curzio Maltese – 27 giungo 2014 –

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