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martedì 1 luglio 2014

Lo Sapevate Che: Ad Amare si Impara da Piccoli...




Si è soliti dire che nella vita “non si finisce mai di apprendere”. Ma le mappe affettive che sono alla base delle emozioni si creano nelle prime settimane di vita

Milan Kundera scrive: “Max Brod, il fedele amico di Kafka, non ha il minimo dubbio che Kafka nasconda una grave colpa: secondo lui è colpevole di Lieblosigkeit, incapacità di amare”. E cosa rappresenta il protagonista del processo di Kafka se non l’umanità nella sua quasi totalità? Per questa sua pervasiva e debordante incapacità di amare l’uomo è condannato all’autodistruzione, così come Kafka viene giustiziato per un delitto a lui ignoto, ma implicito nell’esistenza della maggior parte degli uomini. E’ un delitto colposo, cioè involontario, l’incapacità di amare, non per questo, però, meno grave.
Ma dov’è la radice profonda di questo analfabetismo affettivo se non in quel “deficit di accudimento”, in quelle “carezze non date” che segnano la vita di miliardi di persone? Troppi uomini e donne si rassegnano così, loro malgrado, a vivere una vita, magari piena di emozioni e passioni, ma sostanzialmente anaffettiva, che non consente di comprendere, e quindi trasmettere in modo credibile e coinvolgente il messaggio fondamentale del Vangelo.

Aristotele diceva che l’uomo è un “animale sociale”, cioè può raggiungere la felicità solo in una relazione con gli altri. Questa intuizione, peraltro di tutta evidenza, è stata studiata e confermata nel secolo scorso da John Bowlby (1907-1990), psicoterapeuta infantile di fama internazionale che ha lavorato alla Tavistock Clinic di Londra. Scostandosi dalla teoria di Freud, secondo il quale il lattante è sollecitato unicamente dalla soddisfazione delle pulsioni e dalle gratificazioni bibliche connesse all’allattamento, Bowlby ritiene che fin dalle prime due o tre settimane si verificano nel bambino “fasi di vivace intere razione sociale, con uno scambio animato che comprende espressioni facciali e vocalizzi, durante la quale il neonato si orienta verso la madre con movimenti agitati delle braccia e delle gambe, a cui seguono fasi di disimpegno che preparano la successiva fase di interazione. Se la madre è attenta e risponde alle sollecitazioni del suo bambino, il neonato impara ad amare. Questa “forza motivazionale relazionale”, come la chiama Bowlby, orienta il ciclo vitale, regolando gli stati fisiologici ed emotivi.
Il modello di Bowlby, secondo il quale lo sviluppo dell’individuo non è deciso tanto dai processi maturativi interni, quanto dai processi interpersonali, è stato condiviso anche da Michael Balint che parla di “amore primario”, da Eik Erikson che ha introdotto il concetto di “fiducia di base”, da Joseph Sandler che parla di “sfondo di sicurezza”, e da Arnold Modell che giunge a ipotizzare un “istinto relazionale”.
Se la capacità di amare non si apprende in quella prima fase dell’esistenza, difficilmente la si può in seguito acquisire. Lo stesso si dire per la formazione delle “mappe cognitive” che decidono, il modo di conoscere il mondo e delle “mappe affettive” che sono alla base del modo di sentirlo, ossia della risonanza emotiva che le cose emotive producono in noi.
Secondo Freud queste mappe si costituiscono in maniera definitiva (e difficilmente modificabile) entro i primi 6 anni di vita. Oggi le neuroscienze ci dicono che si strutturano definitivamente entro i primi tre anni. Questo significa che nei primi tre anni di vita ai bambini – che non crescono come le piante – va prestata grande attenzione. Che quando mostrano i loro primi sgangherati disegni non bisogna rispondere: “Li guarderò dopo” (che vuol dire mai), perché il bambino conclude di non aver fatto nulla di interessante per la madre. (…) .
La capacità di amare si decide in quell’età, insieme alla formazione della propria identità che nasce dal riconoscimento. Queste cose (…) ha ricordate Papa Francesco nel suo discorso in Giordania quando ha detto che se i bambini non crescono nell’amore e di conseguenza non imparano ad amare, quando saranno grandi difficilmente potranno risolvere i conflitti che lacerano quelle terre.
umbertogalimberti@repubblica.it – 28 giugno 2014

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