La parola “regresso”, riferita al nostro tempo, la si trova
nei titoli di tutte le edizioni in varie lingue dell’antologia “Die große
Regression” (curata da Heinrich Heiselberger, Suhekamp, Berlino) oppure “L’Age
de la Regression” (Premier Parallèle, Parigi). E’ l’impronta non certo
ottimista del libro dedicato alla tendenza involutiva delle nostre società.
Esprime il tema principale della raccolta di saggi che comprende quello di Ivan
Krastev, cui mi riferisco, e quelli di altri sociologi, filosofi, pubblicisti
di nazionalità e discipline varie. È un’ampia analisi (cui partecipa, tra gli
altri, la sociologa Donatella della Porta) del regresso che stiamo vivendo,
dopo avere creduto a un secolo migliore di quello alle nostre spalle. Krastev,
politologo londinese di origine bulgara è editorialista del New York Times. Per
sviluppare la sua tesi ricorre a un romanzo di José Saramago, “Le intermittenze
della morte”. In un paese senza nome la gente all’improvviso non muore più. La
morte non ha più il ruolo centrale che aveva nella vita umana. All’inizio la
gente è euforica. Pensa di avere vinto la morte e conquistato l’eternità. Gli
inconvenienti non tardano. Sono di vario genere: metafisici, politici e
pratici. La Chiesa cattolica realizza che senza la morte non ci può essere la
resurrezione, e senza resurrezione non c’è la Chiesa. L’assenza della morte
infligge un duro colpo anche alle assicurazioni. Per lo Stato diventa
impossibile sostenere il costo delle pensioni diventate perpetue. Le famiglie con vecchi, invalidi, ammalati da
curare e mantenere in eterno vedono nella morte il solo modo di sfuggire a un
futuro dedicato agli antenati che si moltiplicano. Le cosche mafiose scoprono
nel contrabbando di vecchi e malati verso i paesi in cui esiste ancora la morte
un traffico più redditizio di quello della droga. Il Primo ministro avverte il
sovrano che, se la morte non ritorna, non c’è più avvenire. Ivan Krastev
va oltre la trama di Saramago, e immagina nel paese senza morte i giovani che
manifestano esasperati. Non sopportano di essere governati da uomini sempre più
decrepiti. Invocano un ricambio generazionale. La fantasia di Krastev fa
nascere un movimento populista che esige il ritorno al passato. Che chiede il
ripristino della morte. Krastev, responsabile di istituzioni culturali
londinesi e viennesi, vede nel romanzo di Saramago l’introduzione al mondo di
oggi. Il modo in cui gli abitanti del paese senza nome e senza morte affrontano
l’immortalità rispecchia la reazione alla globalizzazione in Occidente. Nei due
casi, nella realtà e nella fantasia, un sogno si trasforma in un incubo. Molti
vedevano la globalizzazione come una vivificante apertura agli altri popoli, un
passo verso la pacificazione se non proprio la fratellanza universale. Col
tempo l’entusiasmo dell’8, dopo la caduta del Muro, si è trasformata in
un’ondata di protesta contro l’ordine liberal-progressista, che implica in
Europa l’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione degli uomini,
dei capitali, dei beni, delle idee e delle religioni. È un’insurrezione della
democrazia contro il liberalismo, dice Krastev. È così nata una guerra fredda
tra due culture. Negli Stati Uniti, Donald Trump ha avuto la meglio. L’Europa
ha conosciuto la Brexit e gli scontri elettorali in Austria, in Belgio, in
Francia, dove però gli emuli di Trump, non l’hanno spuntata. Sono stati
sconfitti nelle urne creando tuttavia solide basi. L’argine ha tenuto, ma la
piena non è stata riassorbita. Guardato con ostilità, il neoliberismo
progressista appare un’alleanza obiettiva tra i nuovi movimenti sociali (come
il femminismo, il multiculturismo, la difesa dei diritti Lgbt) e i settori
forti della finanza e dell’industria. Un’intesa di fatto esecrata da larga
parte della classe popolare e della classe media, entrambe frustrate. La prima
dai mutamenti di produzione e dalla precarietà, la seconda dalla crisi
economica e dall’ondata migratoria. Si chiudano quindi i confini, si
costruiscano muri di protezione economica e si cancelli il concetto di
globalizzazione. Si ritorni a vivere con la prospettiva della morte, assai più
rassicurante della mortalità che sembrava una conquista. La reazione populista
conforta una larga fetta della società nella sua insicurezza. Ha come bersaglio
l’élite, che va dall’industria e la finanza alle tendenze che alimentano il
progresso, nella vita individuale come nella tecnologia. Il nemico è chi ha il
denaro e la parola. Come recuperare quella parte di società in rivolta è il
compito di una classe politica, e dirigente in generale, che non sempre ispira
fiducia.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 14 maggio 2017
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