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domenica 21 maggio 2017

Lo Sapevate Che: Tutti in piazza contro il progresso...



La parola “regresso”, riferita al nostro tempo, la si trova nei titoli di tutte le edizioni in varie lingue dell’antologia “Die große Regression” (curata da Heinrich Heiselberger, Suhekamp, Berlino) oppure “L’Age de la Regression” (Premier Parallèle, Parigi). E’ l’impronta non certo ottimista del libro dedicato alla tendenza involutiva delle nostre società. Esprime il tema principale della raccolta di saggi che comprende quello di Ivan Krastev, cui mi riferisco, e quelli di altri sociologi, filosofi, pubblicisti di nazionalità e discipline varie. È un’ampia analisi (cui partecipa, tra gli altri, la sociologa Donatella della Porta) del regresso che stiamo vivendo, dopo avere creduto a un secolo migliore di quello alle nostre spalle. Krastev, politologo londinese di origine bulgara è editorialista del New York Times. Per sviluppare la sua tesi ricorre a un romanzo di José Saramago, “Le intermittenze della morte”. In un paese senza nome la gente all’improvviso non muore più. La morte non ha più il ruolo centrale che aveva nella vita umana. All’inizio la gente è euforica. Pensa di avere vinto la morte e conquistato l’eternità. Gli inconvenienti non tardano. Sono di vario genere: metafisici, politici e pratici. La Chiesa cattolica realizza che senza la morte non ci può essere la resurrezione, e senza resurrezione non c’è la Chiesa. L’assenza della morte infligge un duro colpo anche alle assicurazioni. Per lo Stato diventa impossibile sostenere il costo delle pensioni diventate perpetue.  Le famiglie con vecchi, invalidi, ammalati da curare e mantenere in eterno vedono nella morte il solo modo di sfuggire a un futuro dedicato agli antenati che si moltiplicano. Le cosche mafiose scoprono nel contrabbando di vecchi e malati verso i paesi in cui esiste ancora la morte un traffico più redditizio di quello della droga. Il Primo ministro avverte il sovrano che, se la morte non ritorna, non c’è più avvenire. Ivan Krastev va oltre la trama di Saramago, e immagina nel paese senza morte i giovani che manifestano esasperati. Non sopportano di essere governati da uomini sempre più decrepiti. Invocano un ricambio generazionale. La fantasia di Krastev fa nascere un movimento populista che esige il ritorno al passato. Che chiede il ripristino della morte. Krastev, responsabile di istituzioni culturali londinesi e viennesi, vede nel romanzo di Saramago l’introduzione al mondo di oggi. Il modo in cui gli abitanti del paese senza nome e senza morte affrontano l’immortalità rispecchia la reazione alla globalizzazione in Occidente. Nei due casi, nella realtà e nella fantasia, un sogno si trasforma in un incubo. Molti vedevano la globalizzazione come una vivificante apertura agli altri popoli, un passo verso la pacificazione se non proprio la fratellanza universale. Col tempo l’entusiasmo dell’8, dopo la caduta del Muro, si è trasformata in un’ondata di protesta contro l’ordine liberal-progressista, che implica in Europa l’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione degli uomini, dei capitali, dei beni, delle idee e delle religioni. È un’insurrezione della democrazia contro il liberalismo, dice Krastev. È così nata una guerra fredda tra due culture. Negli Stati Uniti, Donald Trump ha avuto la meglio. L’Europa ha conosciuto la Brexit e gli scontri elettorali in Austria, in Belgio, in Francia, dove però gli emuli di Trump, non l’hanno spuntata. Sono stati sconfitti nelle urne creando tuttavia solide basi. L’argine ha tenuto, ma la piena non è stata riassorbita. Guardato con ostilità, il neoliberismo progressista appare un’alleanza obiettiva tra i nuovi movimenti sociali (come il femminismo, il multiculturismo, la difesa dei diritti Lgbt) e i settori forti della finanza e dell’industria. Un’intesa di fatto esecrata da larga parte della classe popolare e della classe media, entrambe frustrate. La prima dai mutamenti di produzione e dalla precarietà, la seconda dalla crisi economica e dall’ondata migratoria. Si chiudano quindi i confini, si costruiscano muri di protezione economica e si cancelli il concetto di globalizzazione. Si ritorni a vivere con la prospettiva della morte, assai più rassicurante della mortalità che sembrava una conquista. La reazione populista conforta una larga fetta della società nella sua insicurezza. Ha come bersaglio l’élite, che va dall’industria e la finanza alle tendenze che alimentano il progresso, nella vita individuale come nella tecnologia. Il nemico è chi ha il denaro e la parola. Come recuperare quella parte di società in rivolta è il compito di una classe politica, e dirigente in generale, che non sempre ispira fiducia.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 14 maggio 2017 -

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