Dopo Avere Letto la sua risposta a proposito dell’Uomo sequenziale nel numero 1028 di D,
vorrei allargare il discorso per conoscere la ragione per cui oggi si legge
molto meno. Dalla mia esperienza posso dire che a iniziarmi alla passione per i
libri sono stati i miei genitori con la casa piena di libri, e in loro questa
passione è stata inculcata dai loro genitori. E chi non ha simili genitori? Ci
sono le insegnanti delle materne, che possono fare la differenza se in casa non
si legge. L’importante è incominciare da piccoli. Per quanto mi riguarda,
faccio parte di un gruppo di lettura, e sono orgogliosa del fatto che i miei
figli (ormai grandi e fuori casa) considerino indispensabile un libro da
leggere quando devono trascorrere più di 10 minuti in autobus! Laura Sabbadin laura.sabbadin3@gmail.com
Non Che Fine faranno i libri. Non tanto per il
loro trasferimento sulla strumentazione informatica, quanto perché da molti
anni la nostra scuola, nonostante il lodevole sforzo di alcuni insegnanti, ha
disabituato i ragazzi alla lettura, al punto che oggi, come riferisce l’Ocse,
no italiani siamo all’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo
scritto. A questa non incoraggiante condizione si aggiunge il fatto che, negli
ultimi decenni, la maggior parte delle cose che sappiamo non le abbiamo
necessariamente “lette”, ma semplicemente “viste” sullo schermo della
televisione o del computer, oppure “sentite” dalla viva voce di qualcuno o da
due fili inseriti nelle orecchie. La domanda che a questo punto sorge spontanea
è: quale modificazione subisce il nostro cervello come effetto di questo
cambiamento? Nella risposta alla lettera da lei citata si diceva che il nostro
cervello fatica sempre di più a tradurre in significati una sequenza lineare di
simboli visivi, come possono essere i segni grafici che compongono la
scrittura, mentre è facilitato nella visione simultanea, come per esempio
un’immagine che, per essere compresa, non ha bisogno di essere percorsa in
sequenza da sinistra a destra, com’è necessario fare di fronte a delle righe da
leggere. La perdita dell’intelligenza sequenziale non è cosa da poco, perché
ciò che si perde è la capacità del nostro cervello di tradurre segni grafici,
come quelli che compongono la parola “gatto” nell’immagine del gatto, che
invece l’intelligenza visiva, quella di cui dispongono i bambini prima di
andare a scuola, ci offre immediatamente senza lavoro mentale. (..). Ma oltre
alla trasmissione delle idee, la lettura insegna al nostro cuore i sentimenti
che non sono dati per natura, ma si apprendono. E in effetti come possiamo
immaginarci l’Aldilà se conosciamo Dante solo per le vie a lui dedicate? Come
facciamo a scoprire che la malattia scaturisce anche e soprattutto da una
mancanza d’amore se non siam mai saliti al sanatorio che Thomas Mann descrive
ne La montagna incantata? Che ne
sappiamo della nausea se non abbiamo mai letto Sartre, e che idee ci facciamo
dello straniero se ignoriamo Camus? Per non parlare della capacità di accedere
alle cantine della nostra anima a cui ci invita Dostoevskij ne Le memorie del sottosuolo. Fin qui i
libri di narrativa. Ma esistono anche quelli di saggistica, utili per
raddrizzare le nostre idee contorte e dare una sana scossa a quelle pigre. (..)
E poi perché ignorare che cos’è “l’amore”, che Platone coniuga con la follia
che ci abita; cos’è “l’equità” che come vuole Aristotele è il correttivo della
giustizia che altrimenti sarebbe ingiusta; che cos’è “la tolleranza” che, come
ci spiga John Locke, significa supporre che l’altro abbia n gradiente di verità
maggiore del mio; che cos’è “il rispetto”, che per Kant è l’unica virtù morale
da cui discendono tutte le altre. Il giorno in cui i libri diverranno
archeologia o reperti da museo – e siamo sulla buona strada – l’umanità avrà
raggiunto il fondo del suo degrado, dove a parlar saranno il vuoto delle loro
menti e l’afasia del loro sentimento, che più non conosce i modi in cui si ama,
si soffre, ci si dispera, ci si consola, perché saranno sparite tutte le parole
necessarie a dare voce al loro cuore, prima ancora che alla loro mente.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 6 maggio
2017-
Nessun commento:
Posta un commento