Nel Lodevole Intento di consigliare le donne che devono, o
vogliono, palleggiare le fatiche e le gioie di essere assieme madri premurose e
professioniste di successo, la “Prima Figlia” d’America, la signora Ivanka
Marie Trump in Kushner ha dato alle stampe non sembrano aver accolto con grande
favore. Dire che le 256 pagine della signora Kushner, oggi investita dal papà
con il titolo ufficiale di Assistente Speciale del Presidente con ufficio alla
Casa Bianca (ma senza paghetta, per non violare la legge antinepotismo del
1967) sono state stroncate dalle critiche, sarebbe un eufemismo. Sotto
l’aspetto letterario, il libro autobiografico, già abbastanza presuntuoso per
una persona di appena 35 anni, è stato variamente definito come una collezione
di banalità e di pensierini da dolcetto cinese, che chiunque potrebbe
raccogliere con una ricerca su Google, come ha scritto acidissima Jia
Tolentino, critica letteraria del New Yorker. Ma quello che ha offeso
particolarmente chi ha dovuto leggere Women
Who Work, donne che lavorano, è il senso di lontananza siderale che divide
una signora come Ivanka, nata in una famiglia di miliardari e sposata con n
miliardario, dalla vita di donne che lavorano per mantenere figli e famiglia. Nel
suo universo, i “sacrifici” – cito – sono “dover rinunciare a massaggi e a
sessioni di cura personale del corpo” per seguire la campagna elettorale del
padre. Sono “trascurare gli allenamenti per la maratona”, “l’organizzazione di
attività ricreative con i figli” e la “pianificazione di Weekend con gli amici”
in località amene. E questo nonostante la presenza di due bonne, di due tate arruolate per occuparsi full time dei tre
bambini, Annabelle, Theodore e Joseph. Ivanka, figlia della prima moglie di Donald,
non è affatto “l’oca bionda “della letteratura maschilista. Studentessa alla
Georgetown University di Washington (la stessa di Bill Clinton) e alla Wharton
School of Economi della Pennsylvania (la stessa che il padre frequentò, ma
senza ottenere il titolo), la signora è intelligente, preparata, capace di
organizzare, seppure con i soldi del padre, un’attività economica che porta
indumenti e accessori con il proprio nome in tutto il mondo. Compresa la Cina.
Non è stupida, Ivanka, è sorda. Vive nella microgalassia di quell’1 per cento
della popolazione, maschile o femminile, per la quale la rinuncia a un
massaggio, a una spa, a un picnic con amici, a una cena nell’ultimo ristorane
sbocciato a Manhattan, è un sacrificio, e per lei lo è davvero. La “Donna Che
Lavora” e che “non deve porre limiti alle proprie ambizioni”, non è quella che
corre come una pallina da flipper fra metrò, bus, due lavori diversi per
evitare il pignoramento preoccupandosi che i figli, abbiano fatto i compiti,
dormendo nell’ansia di essere licenziata, litigando con la compagnia di
assicurazione per l’apparecchio ortodontico della figlia coi denti storti,
ammesso che abbia una assicurazione. I suoi sono segnali da un altro mondo per
donne che vivono nel suo mondo e soltanto di sfuggita, nelle ultime due pagine,
si ricordano di notare che negli Stati Uniti ancora manca una legge per pagare
alle donne il periodo della maternità o per assicurare che a lavoro uguale
corrisponda paga uguale. Se Ivanka Trump Kushner conoscesse davvero le condizioni
delle donne che lavorano sarebbe in una posizione ideale per perorare la loro
causa, per essere la “donna che sussurra al presidente” come nessun’altra – non
certo la moglie in carica Melania, che non c’è mai –può fare. Magari le
spunterebbe qualche ruga sul volto levigato dal trucco e dai ritocchi
fotografici. Ma asciugherebbe qualche lacrima dal viso di altre madri che
lavorano.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 20
maggio 2017 -
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