La grandiosa tendenza culturale degli
ultimi decenni è di colpevolizzare le vittime. Gli stuprati dal nuovo ordine
economico se la sono cercata. I quattro miliardi di poveri dovrebbero smetterla
di provocare con le proprie agonie la quarantena di super miliardari che
concentra la ricchezza del Pianeta. I rifugiati si godano le guerre in casa
loro, i giovani costretti a emigrare erano dei rompiscatole, quelli che non
trovano lavoro in patria sono bamboccioni, gli insegnanti che si ribellano alla
distruzione della scuola pubblica sono dei nostalgici passatisti, chiunque si
lamenti del governo è un gufo jettatore. Era quindi ovvio che la colpa del
disastro di Alitalia fosse attribuita alle principali vittime, i lavoratori i
quali alla fine ne avrebbero decretato la morte votando No a un magnifico piano
di tagli del personale e degli stipendi. Volendo recuperare un vecchio totem
del giornalismo vintage, i fatti, non è proprio così. Il costo del lavoro è
l’ultimo dei problemi dell’Alitalia, quindi l’unico sul quale siano concentrati
i manager, i politici e parte dell’informazione. Mentre i vertici delle grandi
compagnie europee, Lufthansa, Air France, British, studiavano i nuovi mercati,
l’evoluzione del turismo internazionale e gli effetti dell’alta velocità sui
mercati interni, i vertici tricolori s’impegnavano con entusiasmo a tagliare
teste e stipendi. Tranne s’intende i propri, i più alti d’Europa. Il risultato
finale della macelleria è che il costo medio per dipendente di Alitalia (60
mila euro) è oggi al livello delle low cost, Ryanair o Easyjet, anzi un po'
meno di Vueling (65 mila) e incomparabile con British o Air France (70 mila e
89 mila). I dipendenti in dieci anni sono scesi da 21 mila a 10 mia, un quarto
di British, un ottavo di Air France e un dodicesimo di Lufthansa. Nonostante questo,
la compagnia ha accumulato miliardi di rosso. Senza piano industriale e alleati europei era impossibile non
correre al fallimento, come avrebbe capito qualsiasi bravo studente della
Bocconi, L’accordo del governo Prodi con Air France, l’ultimo treno disponibile,
fu stracciato dalla retorica tricolore di Berlusconi, al costo di miliardi.
Altri ne sono stati lanciati dalla finestra per sostenere l’idea demenziale di
due hub internazionali, Fiumicino e Malpensa. Quindi è arrivato il governo
Renzi che, pur di non fare la cosa ormai ovvia da vent’anni – ha sbandierato
l’ennesima genialata di un patto con gli arabi di Etihad, già fallito. Il tutto
mentre l’Italia spalancava le porte a Ryanair e Easyjet, che poi non pagano le
tasse qui. Che fare? Mandare a casa i manager e provare e prendere qualcuno del
mestiere? Ma no, licenziare altri lavoratori. Bravi, bene, bis.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di La Repubblica 12
maggio 2017 -
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