Abbandona il campo perché oggetto di
cori razzisti. L’Onu lo elogia, ma l’arbitro lo espelle e il giudice sportivo
lo squalifica. E’ successo due domeniche fa al Sant’Elia di Cagliari, dove
Sulley Muntari, calciatore ghanese del Pescara, all’ennesimo buuu riserbato ai giocatori di colore,
ha perso la calma. E dopo un vivace scambio di idee con il direttore di gara,
dal quale non si è sentito sufficientemente tutelato, è rientrato negli
spogliatoi. Risultato, doppia ammonizione, una per proteste, l’altra per aver
lasciato il terreno di gioco senza autorizzazione, L’alto commissario per i
diritti umani delle Nazioni Unite ha definito l’atleta “un esempio per tutti
coloro che si battono per i diritti umani”. Ma evidentemente per
l’establishment del pallone il rispetto del regolamento viene prima dei diritti
umani. E così la giustizia calcistica ha condannato Muntari per la sua
reazione, profondamente umana e profondamene comprensibile, almeno tra persone
civili. E invece ha assolto il Cagliari perché a vomitare insulti da Ku Klux
Klan erano solo in pochi. E così a pagare è solo la parte lesa. Vittima due
volte. La prima dell’inciviltà di una parte degli spettatori. La seconda di una
sentenza altrettanto incivile che, dietro l’applicazione pedissequa del codice
pallonaro, si rivela inflessibile con gli innocenti e indulgente con i
colpevoli. E dunque indirettamente complice del fenomeno. Morale della storia.
Se questo è il governo del calcio, allora vuol dire che regolamenti, dirigenti
e parte del pubblico si meritano a vicenda. Non così però i Muntari della
situazione, che meriterebbero un campionato migliore.
Marino Niola – Miti d’oggi – Il Venerdì di La Repubblica
-12maggio 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento