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sabato 13 maggio 2017

Lo Sapevate che: Quei volti senza nome regalano allegria...



Lo Vedo Spesso. Ha al massimo vent’anni, il viso da ragazzino e l’incedere lieve di chi ancora non ha scelto la sua strada. Con quell’andatura molleggiata, acerba e spavalda, quell’aria persa nell’orizzonte urbano e quelle enormi cuffie rosse a coprirgli orecchie e parte della testa, è evidente che non ha un obiettivo. O meglio, il suo fine sta proprio lì, nel passeggiare svagato e senza meta. E quale super potere è più invidiabile del trasformare il mezzo in scopo? Lui è il dog sitter dei miei vicini di casa. Ignoro il suo nome ma un “Matteo” o un “Giacomo” gli calzerebbe a pennello. Non conosco i suoi orari ma coincidono con i miei. Quando ci incrociamo ci salutiamo distratti. Dubito mi riconosca. Ai suoi occhi sono parte di un indistinto e irrilevante panorama umano. Lo capisco dallo sguardo un po' liquido che tradisce il suo abitare altri mondi. Ma a me basta sapere che lui c’è. Mi basta inciampare ogni tanto nel guinzaglio teso tra lui e il labrador nero che lo accompagna placido, contagiato dalla leggerezza spensierata di quelle gambe lunghe e dinoccolate. Perché a me la visione di quel ragazzino senza un nome mette allegria. Non mi interessa saper chi sia, così studi, cosa sogni. Anche il suono della sua voce non ha alcuna importanza. Lui è lì, puntuale e incurante. Non lo sa, e se lo sapesse, probabilmente terrorizzato, mi aizzerebbe contro il cane ma lui è uno dei tasselli che tengono insieme il mio mondo. Ne ho preso coscienza di recente ed è stata una fondamentale epifania: esistono, nella quotidianità di ognuno di noi, persone estranee che tuttavia accompagnano i nostri passi, ci danno la misura dello spazio e del tempo, ci regalano la sicurezza gratuita e generosa della loro incurante ma costante presenza. Senza nulla togliere agli affetti, agli amici, all’intimità dei rapporti costruiti nel tempo sulla sintonia, sull’empatia, su un legame di sangue, vorrei però qui soffermarmi sugli incontri casuali e apparentemente irrilevanti che si trasformano in pietre miliari sul nostro cammino, senza alcun merito se non una unilaterale affinità. Quando avevo un lavoro come si deve, con un contratto a tempo indeterminato e degli orari da rispettare, sotto il mio ufficio c’era un bar in cui prendevo ogni giorno un caffè macchiato. Il proprietario e animatore di quel locale si chiamava Gigi, acido, reazionario e incattivito dalla vita e dalle sveglie all’alba, un uomo che mai avrei scelto come amico. Eppure a quei tempi Gigi per me era essenziale: una colonna, una parentesi vacanziera, a volte persino il pensiero della mattina. Io per lui ero una delle tante clienti, lui per me era un piccolo sole al costo di un euro. La mia vita è costellata di inconsapevoli benefattori che vorrei ringraziare, ma non ringrazio per timore di essere presa per pazza. Vorrei dire grazie al signore che vende la pasta fresca di fronte a casa di mia madre, perché il suo negozio ha il profumo buono della mia infanzia. Al papà che incontro sempre al semaforo la mattina mentre accompagna a scuola il suo bambino, perché insieme ridono e mi regalano uno spiraglio della loro privata tenerezza. Alla giornalaia per il suo candore, alla coppia di pensionati che incontro in palestra perché si divertono e sono gaudenti, alla mamma che aspetta sua figlia fuori da scuola e ha il volto segnato per sempre da un’aggressione, per la sua eleganza fiera e ipnotica, per il sorriso e per la sua resistenza. Incontrare tutti loro mi ricorda chi sono, chi siamo, la comunità che dovremmo rappresentare, l’importanza del prossimo, nella sua eccezione più laica e militante possibile.
Claudia de Lillo . Opinioni – Donna di La Repubblica – 6 Maggio 2017 -

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