Siccome Da
Corrispondente di
Repubblica negli Stati Uniti sono l’unico italiano ad avere intervistato due
volte Barack Obama, c’è chi si è fatto l’idea che io faccia parte di una sorta
di “cerchia allargata” dell’ex presidente. Naturalmente è falso. Ma questa
reputazione infondata ha delle conseguenze. Dall’Italia mi chiamano personaggi
autorevoli, dalla politica alla cultura, dal business ai media, perché io metta
“una buona parola”. Tutti vogliono invitarlo per conferenze, eventi. Alcuni
sembrano quei finti amici d’infanzia che non si fanno vivi per vent’anni, poi
si ricordano di te perché gli serve un favore, una raccomandazione, Altri mi
colpiscono per una certa faciloneria, italica, tra dilettantismo e superficialità:
non hanno la più pallida idea di come funziona il mondo. Mi rendo di certo
antipatico perché la mia risposta è freddina, deludente. Anzitutto sono
costretto a rivelare che non mi alleno a Central Park con Obama né prendiamo
insieme il caffè la mattina leggendo gli ultimi titoloni su Trump. Spiego che i
miei contatti con lui seguivano perlopiù le vie istituzionali, cioè con lo
staff del presidente degli Stati Uniti. Infine passo alle questioni pratiche.
Lo sapete qual è stata la parcella per la prima conferenza pubblica del
beneamato? 400mila dollari. Lo riscrivo in lettere: quattrocentomila. Ha
battuto Bill e Hillary Clinton che pure usano lo stesso agente, scommetto che i
coniugi hanno avuto un travaso di bile. E questo è, per così dire, il compenso
netto, la ciliegina sulla torta. Se uno pensa seriamente di invitare Obama deve
aggiungerci la logistica. Uno o due assistenti. La scorta del Secret Service,
dai quattro agli otto bodyguard a seconda che la manifestazione si svolga
all’aperto, se c’è pure Michelle, e così via. Questi agenti hanno lo stipendio
pagato dal Tesoro degli Stati Uniti, cioè dai contribuenti americani, però
voli, alberghi e pasti sono a carico di chi invita l’ex presidente. Per
sicurezza Obama non può volare su una linea passeggeri. Oplà, aggiungete il
costo di un jet privato. Insomma, se fate i conti sulla punta delle dita
l’onorario di qui sopra raddoppia rapidamente. Lo scrivo qui, nero su bianco,
sperando di ridurre le chiamate che arrivano al sottoscritto, ma so che non accadrà.
Conosco i miei connazionali, per quanto le cifre siano dissuasive ci sarà
sempre chi mi chiederà “un favore, per amicizia, mettici una buona parola, in
certe circostanze sarà possibile che lui venga gratis, per amore dell’Italia,
per simpatia verso Tizio o Caio, ecc.ecc.”. (Mentre scrivo Obama sarà già stato
in Italia una volta da ex presidente, per partecipare a n evento del business
alimentare. Io non c’entro niente, il merito è solo del portafoglio capiente di
chi lo ha ingaggiato). Per quanto trovi importune le insistenze di chi lo
vorrebbe “gratis per amicizia”, non sono convinto che Obama stia facendo bene.
Da un lato lo capisco: è il modo più semplice, automatico, efficiente, per
selezionare fra le migliaia di inviti e proposte che gli stanno arrivando da
quando ha lasciato la Casa Bianca. Qualsiasi ex capo di Stato diventa un trofeo
ambito nel business dei convegni: fissare na tariffa altissima evita
d’inflazionarti l’agenda, di sequestrare la tua vita. Inoltre sono certo che
gran parte del ricavato finirà in beneficienza. D’altro lato però Obama scivola
nel vizio di tutti i leader di sinistra che lo hanno preceduto, dal Clinton a
Tony Blair. Appena ha smesso di governare l’America lo abbiamo visto in vacanza
sugli yacht dei miliardari. Poi ha firmato un contratto da svariate decine di
milioni per il primo libro. Poi per aprire bocca chiede l’assegno da 400mila.
Le prediche dei progressisti sui conflitti d’interesse del magnate Trump, ai
metalmeccanici che lo hanno votato, suonano un po' ipocrite.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica 13
Maggio 2017 -
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