“Non ho paura della neve. Ho paura di
quell’altra cosa” mi disse Egidio quattro mesi fa, con la pala in mano,
pensando al terremoto che non fini mai. I suoi 85 anni non gli impedivano di
lottare contro il fato che sembrava aver concentrato tutte le sfighe nel cuore
dell’Abruzzo, provocando vittime, crolli, disagi infiniti e l’isolamento di
decine di frazioni, irraggiungibili per giorni, come Forca di Valle, dove
abitava Egidio. Quattro mesi dopo sono tornato su quei tre chilometri percorsi
a piedi a gennaio, cercando le persone che avevo incontrato. E ho ritrovato
lui. “Ti ricordi? Sono venuto quando c’era la neve” gli dico. “Stai a pensà alla neve, io sto a pensà alla morte” mi risponde lui,
ostentando una rassegnazione generazionale tanto forte nelle parole quanto
assente nelle azioni. Quattro mesi fa aveva in mano una pala per la neve, ora
armeggia con una scodella per le pecore. “Questi sono il mio capitale” dice
indicandomi agnelli appena nati nella stalla. Su richiesta me ne mette uno in
braccio, faccio battute su Berlusconi ma lui si preoccupa solo di quanto le mie
mani stiano per puzzare di pecora come le sue. “Voglio tribolare (sinonimo di “lavorare”) fino alla mia morte, basta che
non soffro” dice Egidio chiudendo la stalla. Sembra tutto perfetto, poetico,
romantico, solitario y final. Ma
bruscamente la conversazione svolta a destra. “Oggi c’è mancato poco che non ho piàto a palate un nero” borbotta Egidio. Chiedo lumi, lui insiste,
“Non li posso vedere, che vengono a fare qui? Morissero sulla loro terra,
puzzano, fanno l’elemosina, li devo ammazzare, prendono 35 euro al giorno, io
pago e loro mangiano”, e latro repertorio del genere, il tutto con colonna
sonora di belati a ricordarmi dove sono. Spiazzato, mi aggrappo alla biografia
di Egidio, da lui orgogliosamente ostentata fino a poco prima “Sono stato fino
a 1.500 metri sotto terra in Belgio, in miniera, vent’anni. E prima sei mesi in
Germania, a pure il culo delle vecchie tedesche, dalle 4 di mattina alle 10 di
sera, per 4 marchi al giorno. E mi trattavano pure male” ripete Egidio tra
un’invettiva e l’altra contro l’immigrazione. Provo a fargli notare le
somiglianze tra lui e i “neri”, neri che spesso a lavorare qui nemmeno ci
arrivano perché qualcosa o qualcuno li ammazza prima. Improvvisamente, oltre
ogni aspettativa, Egidio si blocca, oggi come quattro mesi fa, pensando al
terremoto. L’angoscia di essere diventato come il tedesco che lo trattava male
si mischia alla consapevolezza di essere stato “nero” anche lui. Quella pausa
nella sua nostalgica logica radicata negli anni mi riempie di speranza. Dura
poco, ma è un inizio, anche a 85 anni.
Diego Bianchi – Il Sogno Di Zoro – Il Venerdì di La
Repubblica – 26 maggio 2017 -
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