A me capita assai di
rado di piangere da
quando non fui più un bambino. Ho scritto qualche anno fa un libro dove il
pianto, o meglio la commozione che inumidisce gli occhi e qualche lacrima che
scorre silenziosamente sulle gote, è ricordato. Sono state in tutto quattro
occasioni: una fu la morte di Mario Pannunzio che avvenne – se ben ricordo –
nel 1968; un’altra fu la morte di mio padre nel marzo 1972 e una terza quando
appresi dalla televisione la morte di Louis Armstrong nel 1971. Non l’avevo mai
conosciuto ma avevo in mente tutta la musica da lui cantata e suonata con la
sua tromba. Duke Ellington, altro grande di quella musica che componeva e
suonava al pianoforte, chiamava Armstrong 2Mister Jazz” ed aveva perfettamente
ragione. Il mio quarto pianto durò una notte intera e fu per l’agonia cosciente
di mia moglie Simonetta, le sofferenze che sopportava da giorni e nelle ultime
quattro ore di agonia prima che le chiudessi gli occhi. Era il dicembre del
2006 e fu la notte più triste della mia vita. Come si vede tra le occasioni che
ho ricordato la più singolare è quella per “Mister Jazz”. Ho riflettuto molto
sul motivo e oggi lo rievoco perché me ne è capitata un’altra altrettanto
singolare. Scrivo queste righe ed è il pomeriggio di domenica 30 aprile. Questa
mattina sono andato a votare alle “primarie” con mia moglie Serena. Il seggio
era abbastanza affollato. Po siamo andati a pranzo e infine, tornati a casa,
Serena ha messo un disco di venti canzoni francesi degli anni Cinquanta, le più
note e splendidamente cantate. Tra queste c’erano “La mer”, “Ma savane est
belle”, “les feuilles mortes” e alla fine “Milord”. Ebbene, sì è ripetuta la
singolarità: ascoltando qualcuna di esse mi sono commosso. Sarà la mia età, ma
non credo Armstrong. La ragione quindi non è la mia età. E allora qual è? È Un Bel Problema rispondere a questa domanda che non è affatto inutile, tocca il profondo
della via, riguarda un passato che non si riferisce ad un episodio specifico e
a una persona, ma a un’epoca, un luogo, un’atmosfera, dei personaggi, insomma
un pezzo della tua vita che quei luoghi, quelle musiche, quella atmosfera hanno
contribuito a formare. Le canzoni francesi che oggi mi hanno commosso
riguardano la Parigi di allora, il romanticismo e anche la satira di esso,
l’amore vero e quello dei bordelli, gli scrittori americani che negli anni
Trenta avevano lasciato New York o Los Angeles per Parigi e la Costa Azzurra:
gli Hemingway, Dos Passos, Francis Scott Fitzgerald e molti altri, uomini e
donne che a Parigi trovarono non il successo ma vissero, i loro amici e il loro
passato, le loro vittorie e le loro sconfitte. Ebbene quell’epoca che va dagli
anni Venti-Trenta ai Cinquanta-Sessanta, prepara il Sessantotto con Sartre,
Simon de Beauvoir, Mendès-France, ed esercita la sua influenza su tutta
l’Europa, come è quasi sempre avvenuto nella storia del nostro continente e di
molte singole persone. Io sono una di quelle. Le mie patrie intellettuali e
sentimentali sono Roma, Milano e Parigi e i segnali che spesso mi arrivano da
quei luoghi, i ricordi e il passato che considero una sorta di cassaforte
mentale. Conta sempre di più man mano che il tempo passa e il futuro posso
immaginarlo sempre di meno. La “prima” della Scala ha ancora un fascino quando
la ricordo e così la “Marsigliese”. Quando fondammo nel 1955 (poco dopo L’Espresso) il
nostro Partito Radicale, il canto che intonammo al Ridotto del teatro Eliseo a
Roma, fu la “Marsigliese” e il 14 luglio, giorno di inizio della Rivoluzione
francese del 1789, diventò la nostra festa. La Francia è l’Italia e l’Italia è
la Francia, attraverso i secoli e attraverso le persone che forma dal passato
lo strumento per costruire il futuro. Ora il futuro è l’Europa ed è quello che
anche le persone della mia età riescono a immaginare e a stimolare le classi
dirigenti e i popoli a raggiungere quel traguardo. Se sento la Marsigliese mi
commuovo e così quando sento l’”Inno di Mameli” e il coro del Nabucco “Va,
pensiero” e infine se ascolto “La mer” o la tromba di “Mister Jazz” che suona
“Indigo” di Duke. Chiedo scusa per questi lontani ricordi e vi ringrazio di
avermi letto.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 7 Maggio
2017-
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