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venerdì 19 maggio 2017

Lo Sapevate Che: Lo Sport è un affare fin dalla culla...



“Fuorigioco”. La Bandierina Gialla del guardialinee si alza come una ghigliottina di tela a tagliare l’urlo nella gola dei parenti al bordo campo. Ma sono grida molto diverse quelle che accompagnano l’annullamento do un gol. Tra loro ci sono voci di speranza per una vita diversa, che sventola via con l’aria che muove la bandierina gialla. Qui, tra le colline del Maryland dalle quali vi scrivo con il mio piccolo portatile sulle ginocchia, in un sobborgo chiamato Gaithersburg dove trascorro sabati e domeniche a guardare crescere tre dei miei paperini rincorrendo palloni, si allarga una distesa inimmaginabile per le nostre dimensioni italiane di venti, dico venti, campi da calcio di misure regolamentari, tra fondi di erba naturale e artificiale per tutte le stagioni. Deve avere la stessa superficie del Lussemburgo (esagerazione ed effetto tipicamente giornalistica). Partite per bambini, bambine, ragazzi e ragazze scorrono senza interruzione dall’alba fino a notte, quando si accendono le luci artificiali. Nelle ore di punta, durante il weekend, ci sono più di 500 giocatorini che razzolano sul verde dei campi, e dunque migliaia di parenti e amici di famiglia. Tutti, e spesso più gli adulti che i loro figli, sono accomunati dall’ansia di vincere, ma la comunione dei sentimenti finisce qui. Termina n una distinzione che nessuno ammette di vedere, ma che tutti conoscono: per alcune di quelle famiglie il successo dei figli sul campo è pura gratificazione genitoriale, semplice orgoglio di nonno o di mamma davanti alle prodezze delle proprie creature. Per altri, il gol fatto, il passaggio preciso, la parata acrobatica, può essere la conquista di una vita migliore. Lo sport organizzato, che negli Stati Uniti coinvolge secondo stime un po' a spanna ma credibili più di 20 milioni di piccoli americani e di adolescenti fino a 17 anni, non è la chiave che apre le porte d’oro dei contratti professionistici, ma il passepartout per una borsa di studio sportiva nelle Università e nei licei più esclusivi che si contendono gli atleti migliori. Per molti di questi bambini, i 250mila dollari necessari ormai per pagarsi retta e alloggio universitari per una laurea quadriennale sono irraggiungibili. Come il football americano o il basket sono l’uscita dal labirinto, spesso mortale, dei casermoni popolari trasformati in ghetti, così il calcio è il santo protettore degli ultimi immigrati ispanici, con o senza documenti e permessi di soggiorno, perché, come vediamo ogni giorno in Europa, a un profugo che sa palleggiare e dribblare tutto si perdona. Forse uno, o due, dei 500 fra maschi e femmine che sgambano sui 28 campi del complesso sportivo vincerà la lotteria della scholarshio, della borsa di studio offerta da misteriosi signore e signori che si aggirano prendendo appunti sui loro tablet, segnandosi nomi di giocatorini da seguire e magari da bloccare subito, perché lo sport è prima di tutto business, affari. Non sono tanto generoso da sperare che gli avversari dei miei nipoti, che hanno la fortuna di non dover partecipare alla lotteria della futura università se non per la loro sperabile diligenza, vincano. Ma ricordo troppo bene il volto disperato di mamite salvadoregne, honduregne, messicane, guatemalteche quando allenavo squadrette di tredicenni e mi imploravano di mandare in campo i loro figli, in presenza di uno scout, un reclutatore di piccoli talenti, per non capire la loro disperazione davanti a una sconfitta. So che quel fischio dell’arbitro, quella bandiera crudelmente sventolata può fare la differenza fra un futuro e tagliare l’erba degli altri o avere un pezzetto di prato per sé.
Vittorio Zucconi –Opinioni – Donna di La Repubblica – 13 maggio 2017 -

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