Da Sempre esistono guerre locali. A
differenza di oggi, qualche decennio fa si discuteva continuamente il rischio
della loro escalation: anzi, questo termine è entrato nella lingua italiana
proprio insieme alle radicali critiche sull’intervento americano in Vietnam.
Sottoposto a una continua pressione, il paese più forte del mondo si arrese a
una risibile ex colonia francese. “Diciamo che abbiamo vinto e andiamocene” fu
il commento all’incredibile ritirata. Oggi gli Stati Uniti Si può rispondere
che non è più necessario, perché ci si mobilita virtualmente. Ma non è la
stessa cosa. L’aggregazione fisica era “calda”, impregnata di emozioni: al
punto che, al termine di una manifestazione, invece di sciogliersi, certi
dimostranti trasformavano la loro fiamma interna in fuoco vero, incendiando
simboli come banche o consolati La mobilitazione tramite internet è invece
“fredda”, Spegnendo il computer i più tornano apatici, rassegnati se non
depressi. Assad usa armi genocidarie contro una parte dei propri sudditi e ne
condanna milioni alla fuga; il pazzo nordcoreano. visibilmente drogato di
cioccolatini mentre il suo popolo è decimato dal digiuno – compie esercitazioni
nucleari. Ma le piazze restano vuote. Non c’è più differenza tra pace e guerra?
E neppure tra i vari pericoli? (..). La prima pagina del New York Times ha
addirittura suggerito che la paranoia stia sostituendo le idee politiche (Ivan
Krastev, 17 marzo). Certo, i morti per terrorismo sono aumentati: secondo la
Bbc, nell’Unione europea sarebbero stati 175 nel 2016. Ma anche le morti per
l’inquinamento dell’aria aumentano: sempre nella Ue, nel 2015 sono state più di
400.000 (non quattrocento, quattrocentomila) quelle attribuite al solo
particolato; aggiungendo altri inquinanti atmosferici si arriva al mezzo
milione (European Environ Agency Report, pp.8 e 9). Qual è il rischio più
grande? Il pericolo maggiore, prima ancora che politico e psicologico fissarsi
su un nemico malvagio e sconosciuto. Il capro espiatorio cui si può attribuire
tutto senza spiegare niente: proprio come fece Hitler con gli ebrei. Se ci
preoccupassimo del rischio maggiore, quello dell’inquinamento, non potremmo
permetterci una simile pigrizia mentale: dovremmo ammettere che il danno è
causato anche dalle nostre abitudini inquinanti, dovremmo essere più
autocritici. Invece restiamo apatici. Trump fa suo questo tragico
restringimento dell’intelligenza, disinteressandosi della questione ambientale.
Paradossalmente, a conferma di come i soggetti politici vengano sostituiti da
quelli privati, la buona notizia viene dalla più capitalista delle imprese
americane. Con il progetto Giganton, Walmart annuncia che entro il 2030 ridurrà
le sue emissioni di un miliardo di tonnellate: come eliminare 211 milioni di
automobili all’anno. (..). In Europa, alla vigilia delle elezioni francesi,
l’Isis ha promosso il razzismo con un attentato al centro di Parigi. Osservare
che l’Isis sta arretrando militarmente è un’autoconsolazione da poco. Forse
l’Isis sarà spazzata via dalla geografia, ma potrebbe aver vinto la sua battaglia
delle psicologie. È riuscita a infilare un cuneo avvelenato dove religioni e
popoli diversi convivevano da millenni. I cristiani fuggono dalla Siria e
dall’Iraq, i copti dall'Egitto. Anche Hitler è stato spazzato via militarmente,
ma il suo tentativo di inoculare odio etnico ha infettato l’inconscio
dell’Europa. Del resto secondo diversi storici, Hitler e Stalin si copiavano a
vicenda. Uno sconfitto militarmente può diventare il trionfatore psicologico.
La Russia, principale avversario di Hitler, potrebbe essersi trasformata nel
più nazionalista e intollerante tra i paesi d’Europa. (..). Se prestiamo fede
non alle cronache del momento, ma agli studi degli storici, gli eventi politici
sono più complessi e vengono da più lontano di quel che sembra. Hitler non era
l’antecedente assoluto; era, a sua volta, un prodotto oscuro della modernità:
del nazionalismo e delle intolleranze che nel XX secolo, quando la scienza si
afferma e ci porta benessere, sfociano nella più antiscientifica delle dottrine,
il razzismo. Se ne parliamo poco, non è perché l’abbiamo superato: al contrario,
è perché ci siamo assuefatti e rassegnati. I grandi imperi multinazionali,
austro-ungarico e ottomano, erano affetti da malattie senili, ma riuscirono a
contenere per secoli estreme differenze culturali, linguistiche, etniche,
religiose. In questo senso le stragi della ex – Jugoslavia, e quelle
israelo-palestinesi, che sembrano non terminare mai, sono ancora una
conseguenza della scomparsa del contenitore multietnico ottomano nel 1918. Gli
stati nazionali sono per definizione incapaci di offrire un equilibrio
equivalente: per questo la disgregazione dell’Unione Europea porterebbe un caos
che va ben al di là di quello economico. Rassegnarci anche a questo sarebbe
molto rischioso.
Luigi Zoja – Ingrandimento – L’Espresso
- 30 Aprile 2017 -
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