Sembra già di sentirli:
Renzon, Berluscon, Grillon, D’Alemon. Ma non sarà che alla fine sono tanti Micron? Perché l’indole
mimetica della politica italiana, l’atavico vizietto di vestire i panni del
vincitore di turno (basti ricordare Tsipras, poi scomparso con il suo ruggito
rivoluzionario nelle segreterie del Bundestag) sembrerebbe dare alla politica
italiana nuova linfa. Dopo Parigi. Tutti in campo a spiegare come il Dr.
Frankenstein di Mel Brooks che “Siiii puòòòòò fareeeeee”, E nel profluvio di
commenti seguiti alla vittoria di Emmanuel Macron, ci siamo subito rivestiti
alla parigina. Ma se è vero che, almeno sui libri di storia e su qualche
manuale di economia, Francia e Italia qualcosa in comune ce l’hanno, qui il
rischio è l’opposto: prendere una cantonata. L’errore più grossolano che può
fare oggi la classe dirigente del Paese è ripetere #jesuismacron, darla per
fatta, convincersi che il vento populista si è piegato alle fitte foglie della
foresta democratica che silenziosa cresce di nuovo. Non è così. Ciò che
determinerà l’esito del voto nostrano non riguarda Parigi, riguarda noi. Noi
che abbiamo una sinistra ancora strutturata in partito organizzato, ma al tempo
stesso divisa in mille rivoli di contestazione fuori e dentro il Pd. Noi che
abbiamo una destra mezza populista e mezza liberale, ma che da vent’anni al
grido di guerra di Silvio Berlusconi si riunisce in bizzarre giostre elettorali
capaci, tuttavia, di stupire sempre sondaggisti e commentatori. Noi che abbiano
un Movimento 5 Stelle che interpreta un populismo 2.0. molto più complicato da
arginare rispetto al postfascismo dichiarato della famiglia Le Pen, marcato a
destra e apertamente reazionari. Se guardiamo dunque le differenze fra noi e
loro, anziché le somiglianze, ci rendiamo conto che non solo la partita non è
vinta, ma l’Italia potrebbe essere l’unica vera sconfitta del campionato
democratico mondiale in corso. Potrebbe uscire in finale. E sarebbe grave e
pericoloso. La Francia è in marcia, appunto, verso una ridefinizione politica
dei blocchi antagonisti che hanno caratterizzato l’Europa degli ultimi decenni,
sta andando al reale superamento di destra e sinistra tradizionali, premiando
un leader che da una parte non ha un partito ma dall’altra ha preso “parte”
alla battaglia contro Le Pen senza mai retrocedere o inseguirla sul terreno
dell’antisistema, inventando una sorta di nuova maison dei moderati. Qui da
noi, al contrario, il sistema si sta ricomponendo secondo uno schema pre-crisi.
Il Pd ha di nuovo il suo leader Renzi, ma è sempre diviso in correnti. La
sinistra ha generato un partitino, come sempre dalla svolta di Occhetto, che
lotterà per far perdere voti a Renzi. La destra è bicefala, ma pronta a sfidare
tutti e prendersi la pancia dell’Italia di mezzo che Silvio Berlusconi ha
sempre interpretato meglio degli altri. E Grillo sta giocando una partita
intelligente: far credere al Paese che lo scontro finale sia fra lui e Renzi
che certo è una bella sfida, ma non rappresenta l’Italia. Se vinceranno i 5
Stelle, dunque, saremo noi l’anello debole della vecchia Europa democratica. Ma
pure se vincerà qualcun altro senza una maggioranza coesa, perché il Palazzo
qualcun altro senza una maggioranza coesa, perché il Palazzo darà alle
opposizioni un’arma letale: quella di gridare al governo illegittimo. Non
vedremo nessuna folla con le bandiere italiane assediare le piazze per fare
festa. Né vedremo nessuna folla con le bandiere italiane assediare le piazze
per fare festa. Né vedremo un volto in cui si riconoscono i vincitori quanto,
nel nome dell’opposizione, gli sconfitti. E finiremo per essere l’ultima terra
di conquista, ghiotta a molti (..).
Tommaso Cerno – Editoriale – L’Espresso – 14 Maggio 2017 -
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